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Registrazione Trib. di Sa n°22 del 07.05.2004
 
 
 
 
 
 
 
 
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La Banda CiardulloIl capo banda Tortora esclamò al suo processo: “Ladri sono i galantuomini delle città, e primi i concittadini miei, ed uccidendoli non fò loro che la giustizia che meritano; se tutti i cafoni conoscessero il loro meglio non si avrebbe a restare in vita per uno”. Un altro capobanda Cipriano La Gala replicò ironicamente a un avvocato da lui catturato:” Tu hai studiato, sei avvocato,e credi che noi fatichiamo per Francesco II? ”.
A due mesi dal sequestro di Giuseppe Mancusi il clima che si respira tra le forze dell’ordine, è di sostanziale impotenza e di aperta polemica. I messi, Carmine Bonanno, Saverio Bianco, domestici della famiglia Mancusi, tranne Fortunato Tedesco, vecchio pastore a servizio di Don Elia Visconti, sembra non siano riusciti a contattare la banda Manzo per consegnarle la prima tranche del riscatto: 63.000 lire. L’umore del Ministro dell’Interno Cavallini, è nero. Pare non rendersi conto delle grosse difficoltà che le forze dell’ordine incontrano sul posto, ci si accusa a vicenda degli insuccessi registrati finora e dell'incapacità di raccogliere informazioni utili atte a localizzare la banda che si aggira sul monte Polveracchio con il sequestrato. Il procuratore del Re e l’ispettore di P.S. Enrico De Rogatis inviati in missione a Giffoni per istruire il processo con il delegato di Giffoni Gaeta e l’applicato Pacella hanno interrogato i testimoni oculari ed eseguito qualche arresto di sospetti manutengoli della banda. Le perlustrazioni della truppa si concludono senza esito. Sono in pochi a collaborare malgrado l’offerta di ricompense. Il clima si fa sempre più pesante. Ad innescare lo scontro è all’apparenza una causa banale, il rilascio dei fogli di via ai messi del Mancusi. Il Maggiore dei Carabinieri comandante l’Arma in provincia di Salerno e il Ministro in persona accusano l’Ispettore De Rogatis della mancata cattura del capobanda e chiedono chiarimenti sul rilascio dei fogli di via. In una solida e circostanziata memoria difensiva, l’Ispettore di stanza a Giffoni illustra con un realismo efficace, a tratti ironico, le enormi difficoltà ad operare in un territorio montano vastissimo ed ostile, dove la tattica brigantesca del “mordi e fuggi” riesce ad aver ragione del numero, in virtù dell'estrema mobilità, dei rapidi sganciamenti, della perfetta conoscenza dei luoghi, dell’appoggio di numerosi fiancheggiatori nei paesi e nelle montagne. L’ispettore discetta sulla differenza che passa tra “foglio di via” e “salvacondotto”  per giustificare la sua linea di condotta e risponde, punto per punto, a tutte le accuse, in modo convincente. E’ uno dei capitoli più interessanti della fase iniziale del sequestro dove s'incrociano conflitti di potere, impotenza ed orgoglio. Su tutte queste aspre polemiche svetta la figura, o meglio il fantasma di Manzo, che si aggira tra l’Accellica e il Polveracchio, che viene segnalato sul monte Stella o sulle montagne di Calabritto, Montella e Bagnoli Irpino. Una primula rossa.

 “ UN PO’ DI LUCE NELLE TENEBRE DEL BRIGANTAGGIO”

“Poiché alla S.V. ILLma son note minutamente tutte le operazioni eseguite da me e dagli altri due funzionari Signori Gaeta e Pacella per la persecuzione della banda Manzi nei pochi giorni nei quali fui con loro in missione in Giffoni Valle Piana ed in altri luoghi, e le ha approvate e lodate, ritenendo che, pel poco tempo che colà rimanemmo, e per la esiguità dei mezzi di cui si disponeva (6 uomini di forza e nulla più) non era possibile far di vantaggio, io dovrei rimettere alla conosciuta giustizia ed alla non ordinaria intelligenza della S.V.Illma di giustificarmi innanzi il superiore Ministero, presso del quale come dalla lettera del 18 volgente n.222, sembra che qualcheduno rivolgendosi contro la mia povera persona mi abbia accusato; ma essendo lungi da me il pensiero di non voler difendermi personalmente, sento invece gratitudine verso chi mi ha accusato che mi porge occasione di potermi luminosamente giustificare e forse gettare un po’ di luce nella tenebrosa faccenda del brigantaggio. Nella pregiata lettera del Ministero si dice che io ho munito di salvacondotto il dì 24 luglio certi Bianco Saverio,Tedesco Fortunato e Bonanno Carmine di Giffoni Valle Piana onde poi recarsi a ricercare la banda Manzi e, dare a essa lire 63.000 pel riscatto del Mancusi dello stesso luogo; La strada che percorse la banda Manzo con il sequestrato Giuseppe Mancusiche oltre a non aver saputo trarre alcun partito dalle indicazioni dei tre messi e al non aver profittato del fatto che molte persone si ponevano in moto alla ricerca della banda abbia col rilascio del salvacondotto incagliate le operazioni del brigantaggio non essendosi noi potuto arrestarle e deferirle poscia all’autorità giudiziaria come manutengoli. Le quali parole si possono partire  dai seguenti tre capi di accusa.
1. Che il giorno 24 luglio io ho rilasciato un salvacondotto a Bianco,Bonanno e Tedesco, e che il salvacondotto era di poter recare ai briganti lire 63.000.       
2. Che non ho saputo trarre alcun partito dalle indicazioni di detti messi e dal fatto che molte persone si ponevano in moto alla ricerca dei briganti.
3. Che col rilascio del salvacondotto ho incagliate le operazioni di persecuzione del brigantaggio non essendosi potuto arrestarli e deferirli al potere giudiziario come manutengoli.
In quanto al primo capo nego assolutamente che io abbia dato un salvacondotto ai tre messi. Il salvacondotto è un documento che si concede a un reo già condannato o ad un reo presunto, per il tempo determinato nel documento stesso. Esso non può concedersi da altri che dall’autorità giudiziaria in rarissimi e gravissimi casi, o da un’autorità che ha poteri eccezionali. Io non ne avevo il potere, né le persone che impiegavo erano rei o presunti tali. Io non ho concesso che dei fogli di via a dei messi che erano o persone della casa del ricattato Mancusi o foresi indicati dai parenti di costui. Il foglio era così concepito: “Le persone segnate a margine si recano per la campagna per servizi di P.S. Valga per quattro giorni.
Il mio accusatore che certo non comprende l’enorme differenza che passa tra il valore legale di un salvacondotto ed un foglio di uso semplicissimo, merita scuse se ha scambiato l’un per l’altro, e la S.V.Illma solo dalla rettifica di questa idea vedrà come un foglio di via non cangia per nulla la condizione giuridica di una persona come fa il salvacondotto, a che perciò questo può essere arrestata sempre che si voglia vedrà che con questo semplice chiarimento cade la parte più importante dell’accusa.
Chi poi non è nuovo nella materia di brigantaggio sa che in mille casi conviene inviare dei messi e come questo sarebbe colpevolissimo il non farlo. Era dunque il caso d’inviarli il giorno 24 luglio? Già si sapeva chi fosse il Capobanda Manzi come alle minacce di morte facesse succedere i fatti quando le sue speranze di riscatto rimanessero fallite. Ai primi messi inviati il giorno 8 luglio egli aveva fatto sentire che se il denaro non fosse rimesso e subito,avrebbe ucciso il ricattato e in linea di commento aveva aggiunto ” Dovrei ucciderlo se anco non volessi onde non fosse d’esempio ad altri che dovrei ricattare, i quali fatti esperti dall’esperienza potrebbero confidare di potersi salvare senza riscatto. Quando il giorno 24 fu concesso il foglio di via erano sedici giorni da che non si avevano notizie del Mancusi e la infelice moglie di lui lagrimando, ed i nipoti opponevano che egli a 63 anni, infermo,impiagato per le percosse ricevute fin dal primo momento del ricatto, privo di ogni umano soccorso gemeva in mezzo ai boschi, tra duri stenti e minacce di morte, imploravano che persone dipendenti dalla famiglia e di loro fiducia si potessero recare a ricercarlo muniti di un foglio di via. Sfido il più crudele uomo e il più disumano ad opprimere negandolo, per di più tanta enorme responsabilità l’autorità non può, non deve farsi complice di un assassinio, e d’altronde il negarlo a che gioverebbe. Poichè ugualmente potrebbe venire la persuasione, tolta forse quella del mio accusatore, che ….affezione di un padre, di una moglie non trovi modo di (pur) pervenire notizia od  averne del parente che è trattenuto nelle mani dei briganti? Non possono inviarsi persone anche senza salvacondotto, nonostante il pericolo che queste potessero venire arrestate e perdersi un tempo preziosissimo, e fosse perciò cagionarsi la morte del ricattato? Non possono forse inviarsi messi da altri comuni, da altro circondario, senza che l’autorità locale lo sappia?
Quindi mentre da una parte il permetterlo non arreca danno, dall’altro arreca il vantaggio d’impedire la morte del ricattato, e di poter aver notizie della banda e servirsene per perseguitarla.
Chi erano poi codesti messi? Erano dei manutengoli che meritavano al loro ritorno di essere arrestati come pare che pensi colui che mi accusa?
L’uno era Saverio Bianco, cuoco del ricattato Mancusi, persona a lui affezionatissima, beneficato per testamento che aveva reclamato l’onore di vedere il padrone correndo qualunque pericolo; il secondo era Bonanno Carmine massaro del nipote del ricattato, attaccatissimo alla famiglia; il terzo era Fortunato Tedesco castaldo del Sign.Visconti che ebbe altra volta uno di loro famiglia ricattato dallo stesso Manzi e di quello si servirono per mettersi in corrispondenza colla banda pel riscatto. Il Tedesco non aveva buona fama, ed io non voleva permettere che si unisse agli altri due, ma egli era già in possesso di un salvacondotto rilasciatogli dal Maggiore dei Carabinieri di Salerno per 19 giorni. Si vegga adunque che per due non vi era di sospettare e per l’altro si dovette rispettare la volontà della famiglia del ricattato ed una opposizione del Sign.Maggiore per evitare ogni attrito. Falsa, falsissima poi l’asserzione che il foglio di via fosse stato rilasciato per recare la somma delle 63.000 lire ai briganti; esso era concepito nei termini sopraccennati e fu dato solo per sapersi notizie della banda e del ricattato.
Chiarito adunque che il documento rilasciato non fu un salvacondotto ma un semplice foglio di via; che i fogli di via si debbono e si possono rilasciare; che i messi erano persone oneste,meno uno che si dovette prendere per ordine di altra autorità, che il permesso di andare fu nell’interesse della salute del ricattato e del servizio stesso di persecuzione, io mi trovo di aver confutato il primo capo dell’accusa e di essermi con ciò completamente giustificato. E dico completamente giustificato perché il resto dell’accusa mi riguarda e ciò nientemeno che per un alibi, siccome or ora verrò dimostrando.
Come la S.V. Ill.ma ricorderà da che ebbi dato la sera del 24 alle ore 9 il foglio di via, io lasciai Giffoni la mattina del giorno appresso alle ore cinque a.m., e mi recai giusto i suoi ordini in Montecorvino ed in Acerno, ed il giorno 27 feci ritorno in Salerno definitivamente.
Quando ritornarono i messi che fu il giorno 30 io già da cinque giorni non ero più a Giffoni dove mi sostituiva il Sign. Delegato Gaeta, il quale era tenuto a trarre profitto dalle rilevazioni dei messi. Ciò  dico non per declinare in altrui i torti che ci fossero ma solo per rettificare i fatti e d’altronde il sign.Gaeta fece pur egli poiché il suo dovere e strenuamente ed io volendo essere solidale con lui lo giustificherò del tutto.       
Che io non ho saputo trarre alcun partito dalle indicazioni dei tre suindicati messi ed alle molte persone che si mettevano in moto per ricercare la banda.
Oscura e tenebrosa accusa! Bisognava perlomeno che il mio calunniatore avesse egli dichiarato in che modo avrei dovuto invece regolarmi, e qual partito egli avrebbe tratto dalle rilevazioni dei messi se si fosse trovato fra i miei piedi, ovvero tra i piedi dell’accortissimo delegato Gaeta che mi sostituiva, il quale da dieci anni ha fatto sempre il servizio del brigantaggio, e che per la uccisione del famigerato Tranchella e per altri brillanti servizi, meritò di essere promosso dal Ministero per telegramma.
Ma gli è facile spiegarsi la mente dell’accusatore. Tutti coloro che ignorano di quale difficile cura sia la cancrenosa piaga del brigantaggio e che poco si sono discostati dalla realtà, fanno questo semplice ragionamento. Poichè dei messi vanno a trovare una banda di briganti, vuol dire che essi   sanno dove sia, se lo sanno si può costringerli a confessarlo e si opera in conseguenza; se non vogliono confessarlo si fanno pedinare dalla forza e come si  giunga a ritrovarli si piomba addosso ai colpevoli, si assicurano prestamente con sicuri ceppi e fra gli osanna e le benedizioni di tutte le popolazioni dei luoghi infestate si fa ritorno alla residenza e si abbandonano nelle mani della giustizia.
In verità se fosse così come pare che talenti al mio accusatore, colpevole molto sarebbe stato il sign.Gaeta e degno non solo di biasimo per non aver profittato di tale occasione ma anche di severa punizione se pur non meriterebbe di essere definito egli stesso complice dei briganti.
Ma purtroppo non è così, che anzi la cosa è ben più ardua di quello che nessuno mai, che non sia esperto della materia, non può immaginarsi. E valga solo questa considerazione che se fosse la cosa come s’immagina il mio accusatore, il brigantaggio non esisterebbe e non si creerebbero invece comitive di briganti come quella del Cappuccino in provincia di Potenza ed altre rimanere in campagna per lunghi anni facendo continui ricatti, ricevendo continui messi e resistendo non pertanto a tutti i mezzi di P.S., a tutte le persecuzioni della forza sia essa composta di carabinieri, di militari o di squadriglie, sia comandata da un Fumel o da un Miloni, sia che si adottino leggi eccezionali o ordinarie.
Dopo ciò farà ancora meraviglia che non si sia riuscito a trarre partito dalla rivelazione dei messi nei pochi giorni della missione, senza provvedimenti eccezionali e senza mezzi pecuniari e colla effimera forza di sessanta soldati disseminati in diversi mandamenti fra centinaia di miglia di montagne e di boschi!
Si vuole che io discenda qualche altra difficoltà delle innumerevoli che si incontrano nella repressione del brigantaggio? Parlerò di una sola che fa al caso mio. Quando due o più individui si mettono per la campagna in cerca dei briganti e non sanno ove sono, come avviene quasi sempre, essi prendono la via del bosco. Se per caso venissero accompagnati dalla forza sia da vicino che da lontano essi possono essere sicuri di andare all’impazzata, inutilmente per tutto il giorno; ma se andranno soli, purchè non abbiano abiti da foresi e gli strumenti necessari ai lavori del bosco, sono subito riconosciuti per messi in cerca di briganti. Quando sono andati un certo tempo, uno dei tanti che lavorano la campagna si avvicina loro, e senza dire il luogo dove la banda si trova, che forse non sa egli stesso, si limita ad indicare quale via debbono tenere. Così si camminava ancora un bel pezzo, e poi un altro ignoto si presenta e da nuove indicazioni, e poi un altro finchè si trova uno o due briganti che gli altri non si mostrano. Questi individui che sono e rimangono sconosciuti ai messi, che sono direi quasi la prima e più perniciosa gradazione del manutengolismo, e dai quali le campagne infestate dal brigantaggio son gremite, sono pagati benissimo dai briganti, non di belle promosse come talvolta o spesso è costretto di fare un povero funzionario di P.S., ma di bei marenghi d’oro. Per distruggerli bisognerebbe distruggere paesi interi che vivono sul brigantaggio, ma spesso essi son manutengoli del momento, e tutta quella occupazione che rimane occulta ed essi ignoti, non si hanno elementi per perseguitarli. Che cosa intanto fanno i briganti? Essi si tengono nascosti sull’altezza di una montagna, provveduti di potentissimi cannocchiali coi quali mentre i funzionari e la truppa trafelati e sconfortati per l’asperità dei luoghi e per le orrendi fatiche, si aggirano poniamo anche sulla vera via per sorprenderli, tranquillamente, comodamente scorgono tutto ciò che avviene nella sottoposta valle per un raggio così vasto quale la potenza di quell’istrumento lo permette e con un piccolo movimento spariscono e si mettono in salvo. Si può andare inosservati? Di giorno no, a meno che non si fosse forniti della favolosa pietra elitropica. Di notte? E per dove si muoverà il passo, fra balze, dirupi e la fitta tenebra di boscaglia?Il Polveracchio per esempio è una montagna che confina con Acerno patria dei due Manzi, gira 24 miglia. Ha un altezza tale che la neve vi è eterna, la vegetazione è folta in modo che a mezzodì vi è il crepuscolo. Chi la credesse una montagna isolata, come un pane di zucchero direbbe subito essere mestiere circondarla da otto o dieci reggimenti e con una manovra convergente certo si arriverebbe a poco a poco sulla vetta fino a stringere in una cerchia di ferro i malfattori; ed allora fatta una scarica si avrebbero tutti morti. Ma per sventura il Polveracchio, dove la banda per lo più si aggira, non ha una forma così comoda; essa invece non solo è tutta accidentata ma confina con altri boschi e con altre montagne che si estendono fino al circondario di Campagna da una parte, e dall’altra per Giffoni fino a Salerno pel corso di 30 miglia  e per la Cellica fino a Bagnoli in provincia di Avellino ed oltre. Vi son zone dove il piede umano non ha stampata mai un’orma e dove le erbacce, le felci, i rovi vi sono così alti che una banda vi può rimanere nascosta e non essere veduta da un drappello che le passa accanto a due passi; come non ha quasi avvenne in una perlustrazione fatta eseguire dal Generale Peyron  composta da quattrocento uomini divisi in quaranta drappelli i quali non solo non incontrarono i briganti, ma rischiarono di non  incontrarsi tra loro! E se a tutto ciò si aggiunge che i banditi conoscono palmo a palmo quei luoghi e la forza va a tentoni, allora si avrà una leggera idea di quelle difficoltà che forse non (capisse) nella mente del mio accusatore perché probabilmente non essendosi mai dilungato dalla città, ignora i luoghi e la tattica brigantesca.
Data così una lieve conoscenza generale delle difficoltà di sorprendere i briganti mi permetta di ritornare sulle disposizioni prese dal Sign.Gaeta per vedere se egli abbia fatto tutto ciò che consigliava la prudenza per trarre partito dalla gita dei tre messi presso i briganti. Io non parlerò di quello che noi insieme avevamo fatto fino al giorno 24. Le lettere di soddisfazione della S.V. Ill.ma che prego siano trasmesse in copia al superiore ministero, e quella direttaci dal Procuratore del Re, che lavorò con noi sopra luogo, bastano a dimostrarlo.
Dice dunque che il 29 luglio giorno in cui i tre messi col foglio di via da me rilasciato si posero in cammino, il Sign.Gaeta assicuratosi che avrebbero tenuta la stessa via che tennero altra volta, scrisse immediatamente per espresso al delegato di Eboli perché colla forza a sua disposizione avesse cercato di far delle perlustrazioni e degli appiattimenti nei luoghi indicati onde cercare di sorprendere i briganti e dall’altra parte fece eseguire altre perlustrazioni dalla truppa di Giffoni; queste manovre non ebbero nessun esito, perché il Tedesco, quando si fu messo in cammino cogli altri due, volle tenere altra via ignota al Bonanno e al Bianco non pratico dei luoghi, ed andò ad aspettare il Manzi per tre giorni in un luogo diverso da quello della prima volta, e ciò come si seppe dappoi, per ordine espresso che detto Manzi di nascosto gli aveva fatto pervenire. Ritornati che furono fatta evidente la colpa del Tedesco, il sign. Gaeta lo fece arrestare immediatamente ed era per deferirlo all’autorità giudiziaria quando il Sign.Maggiore dei carabinieri rivestito dei nuovi poteri che attualmente ha, insistè per lettera che fosse scarcerato per rispetto al salvacondotto che teneva da lui e perché intendeva servirsene per la ricerca dei briganti.
Dopo ciò sfido il più prevenuto a dire che il Sign.Gaeta non abbia fatto il suo dovere.
E’falsissimno poi che oltre al Bonanno, al Bianco, al Tedesco, a certo Centanni e D’Angelo tutte persone della casa del Mancusi meno il Tedesco vi sia stato altri in cerca dei briganti. Se vi fu, che il mio accusatore lo indichi, anzi dico che è un assurdo l’immaginarlo. Chi altri poteva avere interesse di inviare dei messi se si eccettua la famiglia del ricattato? Se la famiglia del ricattato ne aveva quattro gratuiti e di sua fiducia, che bisogno aveva di mandarne degli altri? E’ questione di senso comune e non insisto altrimenti.
Dunque come vede la S.V.Ill.ma il secondo capo d’accusa è svanito come il primo. I chiarimenti dati pongono in rilievo la malafede e la ignoranza dei fatti dell’accusatore.
Passiamo al terzo e ultimo capo. Che col rilascio del salvacondotto ho incagliato le operazioni del brigantaggio non essendosi potuto arrestare e deferire i messi al potere giudiziario come manutengoli.
Dopo quanto si è sopradetto, la sola enunciazione di questo capo d’accusa vale a farlo cadere.
Ho dimostrato che non detti, ne lo potevo, un salvacondotto, ma un foglio di via. Ho dimostrato la differenza enorme che esiste fra i due atti e che il foglio di via non implica la conseguenza di non poter arrestare chi lo possiede; ho dimostrato che il foglio di via, nelle condizioni in cui mi trovavo, io avevo obbligo morale di dirlo. Ho dichiarato chi erano i due messi, Bonanno e Bianco, cioè persone onestissime e familiari della casa del ricattato e da lui beneficati e quindi tutt’altro che manutengoli. Ho provato che il solo Tedesco era tale e che questi fu arrestato, nonostante il salvacondotto non rilasciato da me e che se fu liberato ciò fu per ordine del Sign.Maggiore il che vuol dire che se questa parte dell’accusa stà , deve riguardarne il suddetto ufficiale.
Vi sarà bisogno di difendermi dall’ultima parte dell’accusa cioè che ho incagliato col mio foglio di via (e non salvacondotto) il servizio del brigantaggio? La S.V.Ill.ma fornita di tanto acume comprenderà quanto vana sia tale asserzione e me ne occuperò un momento non per difendermi ma per mettere un suggello alla malafede di chi volle calunniarmi.
Nel tempo che eravamo in missione ero io solo che dirigeva le poche operazioni che per i scarsissimi mezzi concessici potevamo eseguire ed io procedevo in accordo perfetto col Capitano della truppa di stanza a Giffoni e con quello di Montecorvino per la parte di esecuzione. Le cause delle disposizioni erano ignote a tutti meno alla S.V.Ill.ma, a cui si chiedevano tutti gli aiuti e tutti i consigli. Lo stesso faceva il Sign.Gaeta quando mi sostitui. Chi avrebbe potuto giudicare,meno  la S.V.Ill.ma che il foglio di via dato aveva incagliato le operazioni di persecuzione del brigantaggio ?Vi potrebbe essere stata prova di tale incaglio quando altri avesse diretto ed io non fossi stato obbediente o non avessi deferito a lui tutti i miei pensamenti; ovvero quando io ed altra autorità non dipendenti l’uno dall’altra avessimo proceduto senza accordo. Ma così non era. Che se colui che asserisce aver io incagliato il servizio fosse invitato a spiegare in che modo ciò avvenne, davvero che egli si troverebbe in un bell’imbarazzo; poiché bisognerebbe che egli divinasse tutte le cause dei movimenti di truppa, degli arresti di persone, tutti i concerti presi con le svariate autorità del circondario di Salerno e di Campagna e col prefetto di Avellino. Ma per sua sventura ha dato prova di essere ben poco divinatore, se non conosceva ciò che accadeva sotto gli occhi di tutti, e forse anche i suoi,che cioè, io fin dalla mattina del 25 luglio non era qui in Giffoni!
    Salerno, 28 agosto 1872                                                          L’Ispettore di P.S. Enrico De Rogatis

Nel promemoria del De Rogatis si cita Fortunato Tedesco come uno dei messi incaricati di condurre le trattative per il rilascio del Mancusi. Fortunato Tedesco,  si era adoperato su incarico di Don Elia Visconti, ricco proprietario terriero di Giffoni, di portare alla banda Manzo i soldi per il riscatto dell’inglese Moens che per un certo periodo aveva condiviso la prigionia con Francesco Visconti, figlio di don Elia Visconti,  e il suo cugino Tommasino di 14 anni, catturati  nei pressi di Giffoni dalla banda capitanata da Luigi Cerino di Gauro. I due rimasero prigionieri insieme all’inglese Moens sequestrato da Manzo e furono rilasciati dopo aver pagato un riscatto di lire 127.000.
Fortunato Tedesco, vecchio pastore al servizio di don Elia Visconti, aveva svolto un ruolo importante nella liberazione del turista inglese recandosi diverse volte da Manzo a portare le rate del riscatto, su mandato di Don Elia Visconti che conduceva le trattative tra Manzo e il Console Inglese. William Moens  venne liberato nei pressi di Giffoni dopo aver pagato 30.000 ducati. Il Moens ne parla in termini positivi : “Il suo era stato un compito rischiosissimo, sebbene gli fosse stata promessa la protezione del governo italiano e di quello inglese. Avevano corso un grandissimo rischio perché i militari li avrebbero probabilmente fucilati sul posto, se li avessero presi con denaro destinato ai briganti. Mi disse che era stremato dalla fame e dalla stanchezza patite durante gli ultimi sei giorni, quando non aveva mai dormito sotto un tetto. Mi riferì che se non ci avesse trovato quella mattina sarebbe tornato a casa, anche se aveva giurato che non sarebbe rientrato senza di me. Aveva trascorso la notte precedente su una montagna di fronte a noi, senza sospettare di essere così vicino”.        
Questa considerazioni contrastano con il giudizio espresso dal De Rogatis. Ma gia all’epoca del sequestro Moens si insinuava che la famiglia Visconti avesse dei legami col brigantaggio, voci che il Moens ritiene del tutto infondate. Ecco cosa scrive in proposito: “…molte persone hanno accusato questa sfortunata famiglia di essere composta di manutengoli, letteralmente persone che tengono la mano ai briganti, cioè li appoggiano. Niente potrebbe essere più assurdo: essi avevano appena sborsato quattromila sterline per riscattare due dei loro parenti, ed io ero stato presente quando la maggior parte di questa somma era stata ricevuta e divisa tra i membri della banda”.   

Le uniformi della banda Manzo e Cerino.
Gli uomini di Manzo indossavano lunghe giacche di un forte tessuto marrone, colore delle foglie appassite, con grandi tasche circolari ai due lati e sul petto: due spacchi laterali formavano sulla schiena altre tasche, che potevano contenere qualunque cosa. Ho visto un brigante alla ricerca di un dato oggetto tirare fuori uno dopo l’altro un paio di calzini, due camicie, tre o quattro libbre di pane, uno sporco pezzetto di pancetta e ancora del formaggio. I gilè si abbottonavano lateralmente, ma avevano una fila di bottoni di finto oro sul davanti e sui bottoni più grandi erano incise teste di cani, di uccelli e così via. Nella parte inferiore del gilè avevano due tasche rotonde, dove tenevano una scorta di cartucce, pallottole, polvere da sparo, coltelli e così via. Nelle due taschine della parte superiore tenevano l’orologio da una parte e capsule dall’altra. Questo indumento era di stoffa blu scuro come i pantaloni, che erano di taglio normale.
L’uniforme degli uomini di Cerino era molto simile, solo che, mentre la giacca e i pantaloni erano entrambi di stoffa blu scuro, il gilè era verde smeraldo, con tanti piccoli bottoni argentati. Quando le giacche erano nuove avevano dei cappucci, capuces, attaccati con due bottoni, che vengono indossati la notte quando fa molto freddo, ma quasi tutti erano stati persi durante l’attraversamento dei boschi. In più indossavano un cinturone altro tre pollici, diviso in due parti: conteneva fino a cinquanta cartucce. Il loro abbigliamento era ordinato e funzionale in tutto. Alcune delle munizioni erano proiettili micidiali: dello stagno fuso copriva la pallottola attorno alla quale era stata inserita della polvere da sparo fissata con uno strato di stoppa. Quando volevano sparare toglievano la stoppa, la polvere veniva messa nella canna, l’astuccio rovesciato e dopo aver raggiunto molti pallettoni il tutto veniva pressato dentro la canna con sopra la stoffa. A distanza ravvicinata queste cariche devono essere micidiali, ma generalmente gli scontri con i soldati avvengono a una distanza tale che le vittime sono poche. La maggior parte dei briganti possedeva una rivoltella, che teneva o nel cinturone o nella tasca sinistra della giacca; era assicurata al collo da un cordoncino legato ad un anello sull’impugnatura della pistola. Alcuni possedevano uno stiletto, che veniva usato solo per infierire sulle loro vittime. Molti portavano piume di struzzo sul capello a tesa larga, il che dava loro un aspetto assurdo e teatrale. Allegri foulards di seta portati attorno al collo sopra una camicia di cotone li facevano apparire degli elegantoni quando il fazzoletto era pulito, ma questo capitava raramente.
William Moens,Briganti italiani e Viaggiatori Inglesi,a cura di Madeline Merlini,Tea Storica.

Un momento della rievocazione storica sul brigantaggio ad Olevano sul Tusciano

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