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Registrazione Trib. di Sa n°22 del 07.05.2004
 
 
 
 
 
 
 
 
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Clicca per ingrandireVoi avete saputo il sito dove nacquero questi due fratelli (i Summa),da chi avevano essi appresa l’arte di comandare uomini, farsi amare, ubbidire,e temere,dove attinsero queste tre sublimi virtù,tanto difficile a godersi,quanto difficile a possedersi.Eppure un rozzo contadino,senza conoscere neanche la z, tartaglione,rozzo,e selvaggio, era temuto ubbidite ed amate da una banda furmidabile, cui riponeva le feducia in lui per la loro salvezza e non restavano mai delusi.Circa due mesi fu sempre con me, apprese così bene l’arta del deludere dell’incannare,e del sorprendere, che non ebbe simile, veloce come il lampo nella defesa,sapeva così bene scegliere la posizione difensive ed offensive che una volta prese, non ce la levava senza grave contusione,con tal tattica e sempre riuscite a sosoprafare forze due volte superiore alla sua, ed io stima che non vi puole essere migliore sensibilità per uno uomo dedite alla Guerra,fourchè la scelta del terreno da manovrare”.
Elogio postumo di Ninco-Nanco (nella foto)  scritto da Carmine Crocco e tratto da Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità.             

“ Ah, signorì, s’avesse saputo legge e scrive avrìa distrutto lo genere umano”.
   Michele Caruso
“Merito anche pietà e perdono,perché contro la mia indole mi hanno spinto al delitto.Ero sergente di Francesco II, e ritornato a casa come sbandato,mi si tolse il sonetto,mi si lacerò l’uniforme,mi si sputò sul viso e poi non mi si diede più un momento di pace…così per colpa di pochi divenni feroce e crudele contro di tutti; ma io sarei vissuto onesto,se mi avessero lasciato in pace”;
Pasquale Cavalcante prima di essere impiccato.

“Popolo,tu solo puoi ancora salvarmi,per te ho sempre combattuto!  
Il capobanda Giuseppe Schiavone ,prima di essere fucilato a Melfi.

“Chi mal si guverna, prest mor
Gaetano Manzo di Acerno

 

Gaetano Manzo di Acerno era senza dubbio il più scaltro e determinato tra i Capi briganti del salernitano. Nel suo corposo curriculum di guerrigliero non ci sono tracce evidenti di atrocità o atti di barbarie anche se le sue reazioni spesso non era ispirate alle buone maniere. Era inflessibile con le spie, i delatori e i traditori ma questa era la conseguenza di un contesto imbarbarito dove la stessa vita era una guerra e valeva poco o niente. Non era un rozzo capraio come Ciardullo che non era in grado di spiccare il "salto di qualità" né un temerario come Tranchella che si gettava nella mischia anche in condizioni sfavorevoli. A leggere bene la sua storia di fuorilegge s'intuisce che due erano le caratteristiche che gli consentirono di sopravvivere così a lungo, in condizioni spesso disperate: la generosità calcolata verso i suoi uomini, i suoi amici  e verso quel vasto e complesso mondo di sfruttati che fu bollato come manutengolismo e che costituiva il mare magnum dentro cui si alimentava la pianta del brigantaggio. Una “dote” che gli era riconosciuta dagli stessi militari che per lunghi anni gli diedero una caccia spietata. Questo aspetto della “liberalità”, fatta con i soldi degli altri ma pur sempre liberalità , venne colto bene dall’inglese Moens che si stupisce, quasi scandalizzandosi, del prezzo pagato per i generi alimentari dalla banda ai fiancheggiatori, quasi il doppio del loro valore reale. L’inglese con la mentalità mercantile non poteva comprendere che si trovava di fronte a un abile organizzatore di consenso,si direbbe oggi. La distribuzione dei proventi dei ricatti e dei sequestri raggiungevano i paesi e le campagne e consentiva all’ultimo ceto , di guadagnare in cambio della fedeltà al capo, somme di denaro che gli consentivano di vivere meglio.Il brigantaggio era insomma per i contadini e i braccianti, una grande chance per elevarsi dalla condizione di sfruttato a vita, senza speranze per il futuro. L’altra dote, oltre un certo carisma conseguenza di una serie di colpi di mano audaci e spettacolari,  era la tattica brigantesca, cioè la guerriglia: fare imboscate, colpire e fuggire. In occasione del sequestro Mancusi l’effetto-sorpresa,malgrado un incredibile fuga di notizie, fu ancora una volta decisivo. Carmine Donatelli (Crocco) e Ninco-Nanco erano dei maestri in questo tipo di guerra, l’unica possibile,  che spesso fu scambiata per semplice codardia.  
Gareggiava con Mamzo in audacia l’altro famoso Capobrigante del picentino: Luigi Cerino di Gauro. Per certi aspetti ha compiuto azioni ancora più eclatanti, ma ispirate al contrario di Manzo a un impulso anarchico e di distruzione che sconfinava talvolta in sanguinari  atti di vendetta. Ecco, per il nostri lettori un esempio raccapricciante ed inedito di una incursione compiuta dalla banda Cerino nel villaggio di Gauro. Correva l’anno 1866.   
                   
Invasione del villaggio di Gauro da parte della banda Cerino
Al Signor Sostituto Procurare del Re di Salerno il Delegato Capo
Urgentissimo
Montecorvino Rovella, 26 settembre 1866.

Ieri sera la Banda Cerino composta di 34 briganti invase il Villaggio Gauro sua terra nativa assassinando la persona di Antonia Alfano, figlia del fu Francesco, di anni 68, vedova di Giuseppe Conte, nativa di Gauro, sempre cresciuta nella casa di Gaetano Del Pozzo di colà rendendosi così familiare di quella famiglia. Gauro è il luogo natio di Luigi Cerino Capobanda di briganti, fattosi ormai memorando per delitti ed orrori, lasciandovi ad ogni piè sospinto, tracce di dolore, di sangue e di misfatti, di ogni genere. Quando il Capobanda Cerino, questa tigre, tre anni dietro assaliva e feriva a colpi di fucile il Signor Don Gaetano Del Pozzo, patriota distintissimo e ricco proprietario di Gauro, fra gli altri essa venne ascoltata come testimone contro il Cerino; come altresì la nominata Alfano fu pure testimone nel giudizio finale per furto contro Elisabetta Cerino, germana del famigerato Capobanda, intentata da Antonietta Bacco per aver la Cerino rubato a costei una vecchia moneta di argento del valore di cento lire.
Questi fatti non andando a sangue al famigerato Cerino pensò perciò disfarsi della nominata Antonia Alfano. Il Capobanda Cerino adunque nel pomeriggio del 25 volgente mese e preciso alle ore 24 meno un quarto, discendendo fieramente dall’alto della montagna nel Villaggio di Gauro, per primo pensiero cercò di sfogare la sua vendetta contro la infelice vecchia Alfano, ed in odio a precedenti fatti significati. Egli perciò accompagnato da un altro brigante, di cui se ne ignora il nome, introdottosi nella piccola stanza della Alfano che era illuminata da fioco lume, e che venne ad un tratto spento dal Cerino, questi trovando la designata vittima che se ne stava accanto al focolaio in compagnia di suo figliuolo Luigi Conte di anni 37, villico domiciliato in Gauro, la inferocita belva senza parlar parola esplose contro detta Antonia Alfano tre colpi di revolvers, facendola cadere morta al suolo e minacciando simultaneamente nella vita il figliolo di costei qualora si fosse dato a gridare aiuto e soccorso. Il nominato Conte Luigi impietrì, svenne, né vide altro. Senonche dalla sorella sua a nome Elisabetta Conte di anni 27, nubile, seppe di poi che in casa la medesima si fece a tirare per il cappuccio del gabbano l’altro brigante che accompagnava Cerino nello intendimento di non straziare il corpo della madre, ed il brigante dal gabbano a sua volta, bruscamente respingendola, la minacciò puranco nella vita, qualora parlasse e gridasse per esserne ausiliata. Disse pure di poi al fratello che la scala di loro casa era stata invasa da cinque o sei altri briganti. Dopo il consumato assassinio Cerino con tutta la sua banda forte di un trenta a trentasei uomini si presentò innanzi la bettola di Ciriaco Balzo situata innanzi la Chiesa di quel Villaggio e poco distante dalla casa Alfano. Quivi vi stava Ciriaco Balzo  il quale giocava con Salvatore Vassallo: vi erano ancora Don Carmine, Don Uriale e Don Francesco, padre e figli Foglia, nonché Angelo Alfano fratello della uccisa e Lorenzo Vassallo di Francesco di anni 25, contadino al servizio di Don Uriale Foglia. Uno di costoro si ebbe l’imbasciata di dire che i briganti volevano bere del vino. Ciriaco Balzo allora fece capolino dalla porta d’ingresso e vedendo molte persone armate disse loro di non avere in pronto tanta quantità di vino da poter soddisfare tutti; ma che vi poteva rimediare andandolo a prendere dalla cantina viciniore. Ciò detto prese un grosso boccale, ed unitamente al cennato Salvatore Vassallo, dirigendosi per la cantina venne accompagnato da due di quella comitiva armati. Attintovi del vino glielo offrì loro; i quali riluttarono a bere, temendo un ‘avvelenamento, e vollero che prima lo avesse tracannato esso Ciriaco Balzo come fece. Conseguentemente vuotarono diversi di quei boccali di vino, e tutti saziati fino alla nausea si diressero novellamente alla bettola. In questo mentre Cerino vi entrò con altri e vistosi un pezzo intero di formaggio se ne fecero tagliare una parte del peso di circa due chilogrammi, in più si presero tre bottiglie di anesi che era tutto il capitale del Balzo. In allora Cerino mosse discorso dimandando al Balzo se lo conoscesse o purnò , ed avutane risposta negativa si pronunziò per Luigi Cerino loro compaesano. Quella gente che stava nella bettola prima dell’arrivo di Cerino lo riconobbe per tale, e Ciriaco Balzo a sua volta in modo confidenziale gli disse le seguenti parole”Potevi dirmelo prima che non mi avrei messo tanta paura”; e quindi ambedue si dissero delle parole all’orecchio. Cerino riprendendo il discorso disse ancora: “Io tutto so, tutto conosco, come so pure chi mi vuol bene e chi mi vuol male; io però mi rido di tutti, perché oggi stò qui domani starò in Francia “.E poi rivoltosi a D.Carmine Foglia soggiunse con aria beffarda e scherzosa. “E Don Carmine…Don Carmine…” senza sviluppare il concetto cui voleva accennare. Finalmente domandava delle pistole da Don Uriale Foglia, e non contento della dichiarazione di costui di non averne, lo fece frugare nelle tasche. Da ultimo prima di accomiatarsi offrì una moneta di venti franchi in oro a Ciriaco Balzo in paga di ciò che aveva consumato la banda,ma Don Francesco Foglia fece rimettere in tasca di Cerino la moneta offerta, dicendo che tutto pagava lui. Dopo questa scena, Cerino insinuò a quei suoi conterranei di portarsi in Montecorvino Rovella per avvisarne le Autorità della sua discesa in Gauro. Uno dei briganti tolse dalla testa di Salvatore Vassallo il berretto di Guardia Nazionale e se lo portò via. E’ da notarsi che Cerino poteva, come si è visto, catturare ed imporre una taglia ai Signori Foglia aggiati proprietari di Gauro e non lo fece, mentre è notorio che un Capobanda di simil fatta non lascia mezzo intentato da far bottino e per svaligiare un qualche viandante, sovente affronta gravi pericoli. Si noti pure che al servizio di Don Uriale Foglia avvi quel nominato Lorenzo Vassallo procugino del brigante Vassallo; imperocché Giovanni Vassallo Avo del brigante era germano D’Isidoro Vassallo avo di Lorenzo Vassallo. Come ancora all’occhio sagace dell’istruttore non debbono sfuggire siffatte circostanze aggravanti per dirli tutti conviventi del brigantaggio, e più ancora del modo confidenziale con che Cerino si accomiatava dai suoi conterranei e dal discorso auricolare fatto a Ciriaco Balzo. Ne vale il dire che tanto i Foglia quando Balzo con Salvatore Vassallo siansi portati in Montecorvino per avvertirne le Autorità Mandamentali, costituendo ciò un’astuzia maliziosa da ganzi, lusingandosi poter gittare così la polvere agli occhi del pubblico e delle Autorità per allontanare da loro i sospetti del reato di manutengolismo. Ed in vero se fossero stati degli uomini onesti da primo sarebbero accorsi nel luogo del consumato assassinio in persona di Antonia Alfano, e quindi chiamando sotto le armi quella Guardia Nazionale essendovi tra loro un’ufficiale della milizia cittadina si sarebbero armati Vincenzo Spinellie messi ad inseguire i briganti, od alla meno trista garantiti dalla forza del loro paese si sarebbero presentati in Montecorvino anziché venirvi in numero ristretto, e nell’incertezza della strada che poteva essere infestata da briganti o pur nò.Si (…..) pure che in Montecorvino gli ambasciatori di Cerino si presentarono armati di fucile. L’assassinio di Antonia Alfano si divulgò in Gauro, e prima che Giuseppe Balzo chiedesse la bettola, avendolo luminato il Canonico Pisano di là giusto il deposto di esso Balzo….molto a ricevuto da me sottoscritto, che unitamente alle dichiarazioni di Luigi Conte qui si allegano, lasciando il dappiù ai poteri di V.S. per le ulteriori operazioni di rito, pregandola di un cenno di risposta per le norme di burocrazia.

Il delegato Capo

Capitolo Ottavo>>

 
 
 
 
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