Aggiungi ai preferiti
Registrazione Trib. di Sa n°22 del 07.05.2004
 
 
 
 
 
 
 
 
____________ ©

Storie del brigantaggio post-unitario nel picentino.
Ultimo atto. La disfatta della banda Manzo.

“Nulla  e nessuno vive per sempre, eccetto la terra e le montagne…”

Il silenzio era vasto, il sole immobile spaccava le pietre, ad est si vedono le montagne di Acerno e   i contrafforti del Terminio, a sud l’ampia pianura della Piana del Sele, regno delle bufale e della malaria; disteso ai piedi di un cerro, quasi sulla vetta del Polveracchio, il capobanda rifletteva sugli ultimi avvenimenti. L’ultimo sequestrato della banda, Giuseppe Mancusi, ricco possidente di Giffoni Valle Piana, era stato liberato nei dintorni del suo paese, un villaggio di case irregolari attraversato da un fiume e dominato da un castello in rovina, dietro pagamento di un riscatto di 200.000 lire, più di quanto speravano. Ma avevano dovuto tagliargli un orecchio e spedirlo in una busta alla famiglia per accelerare il pagamento. Poi a Giffoni era successo il finimondo, avevano arrestato persino il Vicesindaco Filippo Tedesco, quando le autorità avevano capito le ragioni di quell’inerzia, il motivo di quel ritardo nei soccorsi, nell’immediatezza del sequestro; altri miei  complici erano stati catturati: Donato De Martino, Donato Calabrese, Elia Palo, Donato Bacco, Sabato Ferullo, Pietro De Giorgio, Domenico Faina detto “Fiscariello” e tanti altri amici. Quante risate mi sono fatto quando mi hanno riferito il grandissimo imbarazzo della Giunta comunale, riunita a porte chiuse, per esaminare il “caso” Tedesco, imputato di connivenza con la mia banda e partecipazione al ricatto Mancusi. Procedevano alla cieca, vergognandosi ed evitando di fare persino il suo nome… Quante risate mi sono fatto quando mi braccarono, per settimane, intorno ai monti di Campagna mentre io, attraversando le foreste e le pianure, mi rifugiai per alcuni giorni a casa del colono Silvestri ad Olevano sul Tusciano e poi in una comoda stanza dell’albergo Europa a Salerno dal mio amico Michele De Maio mentre quei fessi andavano su e giù per le montagne a caccia di un fantasma. Si sentiva il fracasso assordante delle onde che s'infrangevano sulla battigia. Non riuscivo a dormire,  io odio il mare… Sorrideva, di un sorriso melanconico. Era ancora un uomo nel pieno delle forze, portava i suoi soliti vestiti alla bordiglione, il gilè, gli scarponi alla montellese, i lunghi capelli biondi gli scendevano ormai quasi alle spalle; era ben armato, il revolver nella cintura e una carabina nuova, rubata ad un cacciatore di Olevano. Chi ha scritto che i briganti erano soltanto uomini rozzi e analfabeti, incapaci di provare alcun sentimento, è in malafede. Io sono un essere umano come gli altri, come te, come voi, come quei maledetti soldati provenienti da un altro mondo che sembrano abbiano in mente una sola idea: quella di tagliarmi  la testa e metterla in una gabbia esposta al pubblico ludibrio e farla finita per sempre. Lo hanno già fatto, a Casalduni e Pontelandolfo, a Melfi e a Rapolla. A Curti di Giffoni dopo aver fucilato un uomo della banda Cerino all’albero della piazza del villaggio, lo hanno lasciato lì nel suo stesso sangue per tre giorni. Noi siamo quelli che siamo, né belve feroci né agnelli sacrificali, siamo quelli che ci hanno lasciato essere. Uomini spinti alla violenza da ingiustizie e soprusi che si trascinano da troppi anni. Nel caos e nei torbidi post-unitari dove non si riusciva a capire chi comandava chi, e dove andasse la Storia, il sindaco del mio paese, un miserabile signorotto di nome Francesco Criscuoli, truccò il bussolotto per favorire un suo protetto, mi toccava ingiustamente di andare a fare il militare. Disertai e giurai di vendicarmi. La sera del 31 dicembre 1863, non lo dimenticherò mai quest'insuccesso, gli sparai quattro colpi di fucile mentre giocava a carte in un caffè ad Acerno, ma quel cane, chissà come, chissà perchè la scampò, forse Dio- pensò facendosi il segno della croce-  ama le carogne. Crescenzo Pantalena, formidabile scorridore, poco tempo fa su mio ordine ci ha riprovato ma anche lui ha fallito.    
Ricordava tutto questo e il “patto” con l’onorevole Mattia Farina, la nostra buona fede. Non hanno mantenuto le promesse, al momento della resa nel marzo del 1866. Altro che pene lievi per tutti, ci hanno condannato a morte e al carcere a vita. Ma i tempi sono cambiati. Mi hanno detto a Salerno che la ferrovia da Napoli è arrivata fino a Cava, che stanno completando la strada per Paestum,  mai visti tanti soldati in vita mia ed altri ne continuano ad arrivare…   I tempi sono cambiati, mi diceva De Maio: “ Quelli come voi non contano più niente, siete rimasti in pochi, un piccolo gruppo di disperati che prima o poi sarebbero finiti in una fossa comune, in un cimitero sconsacrato nei pressi di una chiesa nei migliore dei casi; scorie di un passato primitivo  da cancellare e consegnare ad una storia scritta dai vincitori ”.
Su di noi sono state versati fiumi d’inchiostro e tramandate tante cose ma c’è pochissima verità e voglia di capire nei racconti, nelle testimonianze, che parlano di noi e della nostra vita di fuorilegge. Nei rapporti delle autorità militari, salvo pochissime eccezioni, siamo oggetto di un disprezzo reale e cosciente, considerati la feccia della terra. I diari degli ex sequestrati abbondano di dettagli folcloristici e romantici, di giochi d’azzardo, di liti e di riti. Mai nessuno che abbia mostrato un vero interesse verso il nostro modo di pensare, di concepire il mondo, la vita e perché no la morte, le motivazioni del nostro essere diventati briganti. Noi esistevamo solo per servire gente come i Mancusi e quelli della sua razza, una minoranza che si è arricchita col sudore e il sangue dei cafoni, galantuomini che vivevano nei paesi ma si divertivano a Napoli, come ai tempi del feudalesimo, circondati da una numerosa servitù, da concubine e figli illegittimi, facendo affari d’oro con i lotti in vendita della Chiesa e la rendita fondiaria. Ci siamo trovati, ad un certo punto, a scegliere tra vivere in ginocchio o morire in piedi, posti di fronte ad una brutale alternativa: o emigranti o briganti. Ad Acerno avevamo le più belle cartiere e ferriere della provincia, non hanno retto alla concorrenza del Centro-Nord e sono fallite. Gli operai ridotti alla disperazione sono emigrati in Sud America o hanno ingrossato le nostre fila. Qui non centrano i Borboni e Franceschiello, un re di cartapesta che ha avuto il destino che meritava, molto di più c’entra la nostra condizione sociale di “cafoni”, le promesse mai realizzate, il pugno di ferro, le leggi inique, la leva obbligatoria, la terra, le tasse, l’occupazione militare dei nostri paesi con l’arroganza dell’esercito invasore e straniero; talvolta un sopruso, il destino, la rabbia che esplode improvvisa per una vita miserevole che non cambia mai prospettiva. Meglio vivere poco ma con molti soldi in tasca. Se mi avessero lasciato in pace, … con il mio mestiere di formaggiaro ad Acerno, mi sarei fatto una famiglia con la mia Carolina, una passione mai consumata ahimè, forse avrei avuto dei figli e gli avrei insegnato il nobile mestiere di caciao o quello di carbonaio, o uno dei quei mille mestieri antichissimi che solo il popolo dei bifolchi sa fare: il caciao, il carbonajo, il giumentaro, il traversaro, il segantino, il mugnaio, il capraio, il bovaro, il calderaio, il vaccaro, il pecoraio, il mulattiere, il mandriano, il canapo, il fabbro ferrajo, il pastore, lo scalpellino, il viaticale, il bettoliere, il fornaciajo, il colono, il massaro, il cocchiere, il porcaro, il guardaboschi, il bracciale, il contadino, il gualano, il bufalaro, lo zappatore, il fattore, il birrocciao, il vetturale, il ciabattino. Mestieri e saperi insostituibili che presto saranno archiviati nei ricordi, che la civiltà industriale spazzerà via. Eggià, sono finiti i tempi eroici  delle invasioni di paesi e villaggi, degli scontri a viso aperto, quando alle 5 di sera non si vedeva in giro più nessuno e gli abitanti sprangavano le porte con i catenacci; i paesi sono dominio dei soldati e persino sulle cime dei monti si sente sempre più spesso il fiato marcio ed ansimante delle truppe, sono soldati più esperti, ben armati, non i novellini della prima ora o i corrotti e mal addestrati militi della Guardia Nazionale. E c’erano oltre ai Carabinieri, molti più Bersaglieri, i peggiori di tutti. Non temo di morire, nulla e nessuno vive per sempre, eccetto la terra e le montagne, non mi prenderanno mai vivo per tradurmi ancora in ceppi in un altro carcere. Si, questo è poco, ma sicuro. Non ci resta altro che colpire e fuggire, e più spesso rintanarci nel fitto delle nostre boscaglie, tra i nostri monti, in luoghi sempre più impervi ed inaccessibili. Ma anche qui non si può accendere neanche un piccolo fuoco ….  E bisogna stare sempre in  guardia col fiato sospeso anche quando riesci a dormire… Stranamente commosso, osservava la sua piccola banda: questi uomini erano stati per lunghi anni il terrore di questa provincia, temuti e rispettati ed ora stanno morendo di fame, affamati come lupi.  Ma non è questo che mi assilla di più. Luigi Cerino che era un abile capobanda diceva che non temeva altro che lo stato d’assedio il quale provocava lo sgombero di tutti gli animali dalle montagne. Con me le stanno provando tutte. I provvedimenti restrittivi presi dall’autorità per isolare la banda e stanarmi, passano dall’arresto dei miei familiari e dei parenti, alla distruzione di pagliai, alla delazione, all’emanazione dei bandi che intimavano “ tutti indistintamente coloro che si porteranno in campagna per qualunque siasi motivo, non potranno portare con loro viveri più del necessario pel mantenimento individuale di un giorno”. Sono arrivati addirittura ad ordinare “ ai pastori, nonché ai coloni ed abitanti nelle montagne di tenere legati e chiusi i cani di loro pertinenza, in modo da non giungere i loro latrati di avviso ai briganti nei movimenti della forza ”. Ed ancora: ” Dalle ore 24 italiane tutti i cani tanto dentro l’abitato, che in campagna dovranno essere rinchiusi, quelli che si troveranno fuori saranno immediatamente uccisi ”. Sulla mia testa pende una taglia di 12.000 mila lire, 4000 per mio cugino Manzitiello. Ma non è questo che mi agita. E’ che i contadini e i montanari sempre più spesso fuggono appena c'intravedono, anche da lontano per non compromettersi. Incontriamo sempre meno gente disposta ad aiutarci, a somministrarci viveri ed indumenti. Nulla di simile era mai successo prima. Hanno scomodato addirittura un Generale pieno di boria e di medaglie, ansioso di avere la gloria di catturarmi o uccidermi e che ha avuto il coraggio  di sparare  a  Garibaldo…

ABITANTI della CITTA’ E PROVINCIA DI SALERNO
A cominciare da oggi stesso il servizio per la repressione del brigantaggio, sarà diretto, per quanto concerne la parte militare, dall’illustre Generale Pallavicini Comandante di questa Divisione Territoriale.
Questo annunzio non può non tornare gradito agli abitanti di questa Provincia, mentre il nome dello insigne Generale è da sé solo una guarentia del successo.
Ora quindi più che mai io mi rivolgo con fiducia alla buona Cittadinanza, non che ai Signori Sindaci e agli altri funzionari di ogni ordine, onde abbiano a secondare alacremente le Autorità Civili e Militari che stanno a capo della Provincia, nei loro comuni ed irremovibili propositi di farla finita cogli avanzi di brigantaggio, che da tanto tempo infestano queste contrade.
Quanto più attivo ed efficace sarà il concorso dei Cittadini all’opera delle Autorità Politiche e Militari, tanto meno sarà sentito il bisogno di ricorrere a quelle misure, che la suprema necessità della sicurezza pubblica rende oramai indispensabili e senza la cui adozione sarebbe assai difficile il poter riuscire al totale esterminio del brigantaggio.
Io spero che a questo appello abbiano a rispondere di gran cuore quanti amano di veder ripristinate in uno stato normale le condizioni della tranquillità pubblica e vie più garantita la sicurezza personale e la incolumità delle proprie sostanze.
La causa dell’ordine non può non essere propugnata dalla parte onesta ed eletta di ogni classe della Cittadinanza; e queste popolazioni che non hanno mai smentito il loro nobile patriottismo, non mancheranno, ne son certo, di venire in aiuto al Governo, che pone ogni studio per liberarle da questa accozzaglia di fuorbanditi.
Salerno 15 Dicembre 1872.     

PREFETTURA
della PROVINCIA DI PRINCIPATO ULTERIORE

Il Regio Governo, nella sua sollecitudine per estirpare gli ultimi avanzi delle orde brigantesche, ha incaricato il Generale cav.Pallavicini di Priola, Comandante la Divisione militare di Salerno, della direzione delle truppe in servizio contro il brigantaggio in tutte le provincie ancora funestate da questa piaga.
Mentre una così provvida misura arrecherà all’azione dell’autorità di P.S. il tesoro di un’elevata intelligenza militare, e le risorse di una esperimentata abilità speciale, mi faccio premura di portarla a conoscenza del Pubblico, facendo caldo appello al patriottismo ed al sentimento di dovere delle popolazioni di questa provincia ancora soggette ai pericoli del brigantaggio, e mi lusingo che esse concorreranno coll’autorità militare e politica per dare l’ultima mano allo sradicamento di un male che tanto nuoce agli interessi economici, alla sicurezza delle persone e dalla riputazione del nostro paese.
La Provincia da assai tempo non ha un brigantaggio indigeno; è però vero che la Banda Manzi ha non poche relazioni coi paesi di questa provincia che confinano con quella salernitana; e che tali paesi non potranno mai stare sicuri dai pericoli e dalle escursioni della detta Banda finchè essa si manterrà nelle vicinanze, come sarà altresì vero che, mercè la energica azione di un Generale che non venne mai meno a tutte le ardue missioni affidategli dal Governo, la banda snidata dai suoi luoghi natii, cercherà di preferenza un rifugio nelle montagne di questa Provincia.
E’ per questo caso che io faccio appello al concorso della popolazione, il quale concorso, spero, sarà dato per la banda Manzi nella stessa misura e colla stessa prontezza con cui fu dato nello scorso mese di Marzo per la Banda Gagliardi, la quale snidata dalla stessa potente azione militare dal limitrofo Circondario di Campagna, trovò per opera ed iniziativa delle popolazioni di questa provincia, in meno di due giorni, la morte e la cattura completa.
Il sentimento del dovere e della propria sicurezza deve essere la molla principale di liberi cittadini, ma ad ogni modo ricordo che maggiori benemerenze e più vistosi premi pecuniari sono riservati per quelli che opereranno il servizio della cattura della Banda Manzi, o che daranno le necessarie indicazioni all’autorità ed alla forza, mercè cui venga attuato il servizio stesso.

Avellino 18 Dicembre 1872

Il PREFETTO
CASALIS

 

PREFETTURA DELLA PROVINCIA DI SALERNO
                                                           
A chiunque procurerà da oggi a tutto Marzo dell’imminente anno 1873 la cattura del Capo banda Gaetano Manzi di Luigi, sarà concesso un premio di lire DIECIMILA.
Altri premi saranno altresì impartiti per la cattura di ciascuno degli altri componenti la banda, cioè:
L.1500 per Manzi Gaetano fu Marcello
“ 1000 per Pascale Giovanni
“ 1000 per Giustino Biase
“ 1000 per Brighella Giuseppe alias Piriello.
Le somme corrispondenti a quale che siasi dei premii suindicati, nel termine di 24 ore a decorrere dal momento in cui il relativo servizio sarà stato reso, verranno da me personalmente consegnate, nella sede di quest’Ufficio di Prefettura, ai rispettivi esecutori del servizio stesso.
Salerno, 30 Dicembre 1872                           

 Il Prefetto
                                                                                                A. BASILE  

Nel mese di gennaio del 1873, circondato da un alone di leggenda, Manzo si diresse verso le montagne di Acerno, meditando un nuovo clamoroso sequestro di persona. Nello stesso mese il Generale Pallavicini costituì nuove squadriglie ad Eboli, Acerno, Capaccio, Giffoni Valle Piana.    
Salerno, addì 3 Gennaio 1873
Nuova formazione delle squadriglie
Comando Generale della Divisione Militare Territoriale di Salerno
Al Sig Comandante di distaccamento in Eboli, Acerno, Capaccio,Giffoni Valle Piana
La zona Militare in Montecorvino
L’Arma dei R.R. Carabinieri di Salerno
Venuto nella determinazione di formare a datare da Lunedì prossimo 6 corrente su nuovi Capi le già esistenti squadriglie volanti, il Comandante la Zona Militare di Montecorvino procederà il giorno di Martedì 7 alla costituzione delle quattro seguenti squadriglie, inviandole tosto alle rispettive sedi.
1° Squadriglia di 4 Carabinieri e 6 Bersaglieri comandata da un Brigadiere o vicebrigadiere, avrà sede in Sieti.
2 Squadriglia di 4 Carabinieri e 6 Bersaglieri, comandata da un Brigadiere o vicebrigadiere avrà sede in S.Cipriano.
3 Squadriglia di 4 Carabinieri e 6 Bersaglieri comandata da un Brigadiere o Vicebrigadiere, avrà sede in Montecorvino.
4 Squadriglia di Otto Carabinieri con otto bersaglieri comandata dal Maresciallo dei Carabinieri Preti, avrà sede in Acerno.
Ad ogni squadriglia sarà addetto un guardaboschi scelto nella località di residenza della squadriglia stessa.
Le tre compagnie bersaglieri stanziate in Eboli, Acerno e Giffoni Valle Piana forniranno ciascuna 6 bersaglieri per le tre prime squadriglie e la Compagnia di Capaccio 8 Bersaglieri per la 4° Squadriglia.
Tutti i 26 Bersaglieri ora detti dovranno trovarsi Lunedì 6 a Montecorvino per presentarsi a quel Comandante di Zona, essi dovranno essere scelti fra i soldati più forti, esperti nel tiro, ed abili marciatori…
Il Capo di Stato Maggiore                                       
Il Comandante Generale la Divisione  
G.Pallavicini

 La riorganizzazione delle squadriglie volanti in tutto il territorio aveva lo scopo di marciare contro Manzo da più direzioni e rapidamente, spingendo la banda fuori dal picentino e costringendola a passare nella provincia di Avellino dove il Prefetto di Avellino, in stretto contatto con il Prefetto di Salerno, aveva in mente un piano e nelle mani un uomo che si sarebbe rilevato una pedina fondamentale per distruggere la banda. E’ il tempo delle trame, degli intrighi, e del reclutamento di informatori e di spie che incominciava a dare i suoi frutti. La sua cattura era ormai sempre più necessaria. L’esercito si stava coprendo di ridicolo. Bisognava farlo scomparire e ogni mezzo, anche il più odioso e compromettente, era lecito. Allettato dall'enorme taglia che intanto era lievitata a L.20.000, un tal Filippo Cecilia, fu Diego di Sturno, fa conoscere l’intenzione di far catturare Manzo e chiede di incontrare il Prefetto di Avellino Casalis a cui svela il proposito del capobanda di sequestrare il ricchissimo barone Grella di Sturno, deputato al Parlamento nazionale.  Ecco il resoconto di quel colloquio segreto tra il Prefetto e l’ex brigante.

 La fama straordinaria che gode nella repubblica dei facinorosi… “

 Prefettura del Principato Ulteriore
Oggetto: Banda Manzi All’ill.mo Sign.Prefetto di Salerno da Avellino 26 aprile 1873
“Ieri ebbi personalmente una conferenza con quel tale Cecilia, ed ho da lui inteso tutti i mezzi di cui può disporre e che conta di avvalersi per venire a capo di vedere il Manzi e di finirlo. Esso si crede sicuro di riuscire. Io condivido la sua sicurezza ma anch’io comprendo l’immensa astuzia e la fama straordinaria che gode nella repubblica dei facinorosi, ho speranza che possa riuscire. Egli mi parlò di due progetti, a base dei medesimi avrebbe sempre l’approvazione provvisoria del Pennacchio Giuseppe di Montella detenuto in codesto Carcere. L’uno dei progetti è semplice e consiste nel conoscere col mezzo del Pennacchio, il Manzi; di proporgli un ricatto, oppure proporgli di fornirlo di uomini per convincerlo in altro che il Manzi avesse già divisato come si crede, che in queste trattative o nell’azione che si renderebbe necessaria, impadronirsi in qualsiasi modo di lui .Per questo il Cecilia conta molto sul suo coraggio e quello dei suoi fidati. L’altro progetto più intricato consisterebbe di darsi in campagna coi suoi compagni fingendosi briganti, come altre volte lo fu sul serio. Per questo si chiede di trovare qualche mezzo legale per la libertà provvisoria del Pennacchio. In altri termini si deve allontanare dal Pennacchio ogni sospetto che esso sia scarcerato perché vi abbiamo sopra di lui dei progetti, e ciò servirà non solo per il Pennacchio, ma anche per Manzi, il quale si tiene sempre al corrente, e ne ha i mezzi, della sorte dei suoi manutengoli che sono in prigione, e sovratutto dei motivi che ne abbiano determinato la scarcerazione. Prego infine la S.S…volere tenere informato il Generale Pallavicini di questi tentativi e progetti. Del Manzi qua non si ha alcuna notizia; però si crede che sia ricoverato in qualche buona casa nel Salernitano, e che le niune o vaghissime notizie che di lui si hanno, siano indizio di un ricatto che sta meditando”.     
Prefetto Casalis

Filippo Cecilia di Sturno, era stato un gregario senza importanza in una delle tante bande che infestavano la zona dell’alta Irpinia. Quando Manzo già all’epoca del sequestro Mancusi, pianificò il sequestro del barone Grella di Sturno, entrò in contatto con La Cecilia che aveva il compito di basista nell’organizzazione del sequestro. Il prezzo concordato per tradire Manzo e far catturare la banda fu stabilito in 20.000lire. Il piano concertato dalle autorità civili e militari sull’asse Avellino- Salerno- Montecorvino Rovella, dove era il quartier generale di Pallavicini, prevedeva di assecondare il piano di Manzo  spingendo  la banda a dare corso al sequestro, tallonandola a debita distanza per poi accerchiarla da più direzioni. Una trappola mortale era stata tesa nella valle dell’Ufita, attendendo la soffiata giusta dall’infiltrato-confidente.      
Il 10 Agosto 1873 il Prefetto di Avellino informò il Ministro degli Interni del tentativo di sequestro e  il giorno in cui si sarebbe stato eseguito.    

Il Prefetto del Principato Ulteriore
Riservatissima A S.E. Il ministro dell’interno Roma- Avellino 10 Agosto 1873
In continuazione del mio telegramma cifrato di ieri sera mi faccio un dovere di riferire quanto segue - Per molti mesi non si ebbe in questa Provincia alcun sentore della Banda Manzi e ciò non perché avesse deluso la vigilanza ch’è nel modo in cui è organizzato il servizio sarebbe difficile, ma perché realmente non vi fu ora da più giorni la sua presenza e mi è segnalato dal Delegato di P.S. di Montella il quale avrebbe sorpreso che somministrava e portava i viveri alla stessa Banda e la sera del 7 corrente sarebbe stata incontrata da una delle pattuglie che furono concertate tra il Delegato e il Comandante del Distaccamento dei Bersaglieri di Montella. Fin dall’Anno scorso quando il Manzi, teneva in suo potere il ricattato Sig.Mancusi il medesimo studiava e trattava un altro vistoso ricatto nell’interno di questa Provincia Circondario del gruppo delle sue montagne di Ariano, al quale punto egli può facilmente pervenire per una serie di boschi e di dirupi di cui ho qualche conoscenza. Ebbi la fortuna di penetrare questi affari e di guadagnarmi in modo assoluto la persona che sarebbe stato il fattore principale di questo nuovo misfatto. Per una serie di contrarietà e di una imprevista eventualità che sarebbe troppo lungo narrare, allora questo affare non potè esplicarsi; però tra il mio confidente complice primario e il Manzi stesso, gli studi e le trattative più o meno interrotte non cessarono mai. Ora siamo al punto che il ricatto di cui si tratta, fu convenuto, deliberato ed appuntato il giorno. La presenza e permanenza della Banda Manzi nel Comune di Bagnoli, il quale del resto appartiene a quel gruppo di montagne, da cui il Manzi non si è mai dipartito e in relazione con questo progettato ricatto, e fù l’incontro dell’altra sera della Banda coi Bersaglieri e le molestie che e Delegato e Truppa ignari del mio segreto stanno dando alla medesima. Essendo vicinissimo il giorno appuntato per tentare il ricatto ed essendone io stato informato solo nella sera dell’8 corrente ho subito pregato per telegramma il generale Pallavicini di lasciare a mia disposizione il Distaccamento di Montella e nello stesso tempo gli ho fatto sentire la convenienza di non molestare per pochi giorni la Banda.  Se quelle mie preghiere saranno esaudite, come dai telegrammi ricevuti dal Generale, ho ragione di sperare e, se le molestie arrecate nei giorni passati alla Banda non gli avranno impedito di fare l’accolta delle persone necessarie all’eseguimento del ricatto, e finalmente se presto sarà tentato, assicuro il Ministero che la Banda Manzi non ritornerà più alla sue montagne e sarà distrutta. Se poi tale progetto non riesca, bisognerà escogitarne altri simili perché solo con questi mezzi si potrà togliere questo bandito che fa stare in trepidazione due Province.           
L’Ispettore di P.S. Lorenzini

Si sollecita il Comune di Acerno a collaborare attivamente sia con premi in denaro che con il concorso dei cittadini. Ma l’assessore ff. di Sindaco Ferdinando Criscuolo tiene a precisare:  “…Devo però osservarle che questi cittadini al momento tengono un contegno particolare, cioè non vogliono proteggere, né proteggono in nessun modo la comitiva in discorso, ne vogliono prestarsi per farla catturare ; insomma si mantengono neutrali e questo fin ora mi risulta ”.  

La scaramuccia di Bagnoli Irpino

Ma un incontro fortuito rischiò di far saltare il piano. A metà strada fra Montella e Bagnoli Irpino, un drappello di bersaglieri di Montella, agganciò per caso la banda che si trovava in quel posto per trovare di che sfamarsi. “Quando verso le ore 7 ½ circa, cioè dopo un’ora che i soldati erano appiattati, di là transitava la banda Manzo, e trovavasi alla distanza di circa 14 o 15 passi al più, in faccia al suddetto picchetto militare, le venne dato il Chi va là. Il Capo banda rispose Pattuglia. La fazione chiamò Caporale di Posta. Il Capo banda disse Amici quanti siete? V’è chi dubita che la sentinella avesse risposto cinque ed in così dire, tutta la banda fece una scarica sui soldati senza punto ferirli, quindi una seconda scarica, e ferirono alla parte di dietro in una gamba il bersagliere che stava in sentinella, il solo che nel momento abbia fatto fuoco. I briganti si disfecero di certi viveri e si diedero alla fuga gettandosi in un vallone, che conduce alla Cina, sotto Nusco…  ”.       
Il pericolo corso spaventò la banda che rimandò il sequestro previsto per il 13 agosto, ma non mollò la presa. Il Prefetto di Avellino Casalis telegrafa al Ministro dell’Interno a Roma il 19 agosto, ore 61/2 pomeridiane: “ Mio progetto di cui mia lettera Gabinetto 10,11 corrente è in corso - notte scorsa Manzi ha  lasciato la sua montagna e preso direzione luogo di Circondario Ariano. Ho finito oggi di accerchiarlo da ogni parte alla larga - domani stringerò - le buone disposizioni sono tutte date ma occorre che la fortuna le coroni. Generale Pallavicini ha insistito perché facessi servire suoi soldati per il colpo - lo ho appagato sebbene urtasse una precauzione - Comunque vada domani telegraferò risultato”. Tre ore dopo lo stesso Prefetto spediva questo telegramma in cifra al Ministro degli Interni: “Dietro ultimi corrieri è quasi certo che la banda attirata là dove voleva, sarà domani attaccata da tutte le parti. Desidero mantenere la Direzione fino all’ultimo di questo affare - passo perciò stanotte col Capitano Carabinieri - spero Ministero acconsentiva ”.          
 Il 19 agosto arriva finalmente la “soffiata” giusta. Il Prefetto di Avellino viene avvertito da Filippo Di Cecilia che il capobanda, nella notte del 19, occuperà la Casina Migliano nel territorio di Frigento. Le truppe vennero divise in tre colonne che si aprirono a  tenaglia per chiudere ogni via di fuga. Fermi a riposare,  stanchi morti, non si  erano accorti di nulla. Sessanta Carabinieri, trenta soldati, quindici bersaglieri il giorno dopo circondarono la Casina della Bufera, nel territorio di Flumeri. (nella foto La Casina della Bufeta, a Flumeri, di proprietà del barone Grella, teatro della battaglia dove fu ucciso Gaetano Manzo).
  
La disfatta della banda Manzi
 Flumeri, 20 agosto 1873, ore 4 e mezza pomeridiane
     
In pochi minuti fu un l’inferno, ma nessuno si arrese. Venne ucciso come in un film western, anche se Manzo non era Geronimo o Cochise: la masseria isolata a Flumeri , nella valle dell’Ufita, dove si era rifugiato venne circondata da un centinaio tra soldati e carabinieri che irrompono con la baionetta in canna, dieci minuti, forse meno, di fuoco, uno scontro brevissimo e sanguinoso, il corpo a corpo furioso, guida acute di dolore e di panico;  il corpo senza vita lasciato lì sul terreno è quello dell’ultimo indomito capobanda del Picentino e dell’intero Mezzogiorno. Correva l’anno 1873.  Aveva trentasei anni. E forse sognava l’America e un destino diverso.
Riportiamo il rapporto ufficiale ed integrale dei Carabinieri, dai toni trionfalistici e retorici.
  
Carabinieri Reali  
Avellino addì 23 Agosto 1873 

Legione-Napoli
Oggetto
Rapporto sulla disfatta della banda Manzi
Al Sig.Prefetto della Provincia di Salerno

Mi onoro trascrivere alla S.V.Illma per compito di mio dovere, il rapporto da me fatto ai Superiori militari ed al Sig.Procuratore del Re sulla distruzione della banda Manzi. Fin dal cadere dell’ottobre 1872 il Sig.Prefetto di questa Provincia Commendatore Casalis si ebbe sentore che il brigante Manzi vagheggiava un progetto di ricatto a circa otto miglia d’Ariano… Allora fu che la prelodata Autorità, la cui intelligenza non è comune studiando bene il topografico ebbe a fermare il suo pensiero sul Sig.Barone Grella Deputato al Parlamento ricchissimo proprietario domiciliato a Sturno, quindi non mancò di prendere tutte le possibili precauzioni sia per impedire la perpetrazione del reato, sia per consegnare nelle mani della Giustizia il Manzi e i suoi compagni.
Però passò del tempo e la cosa svanì subito, non saprei spiegare per quali circostanze, ciò non tolse  che il Sig.Prefetto perseverasse nel suo impegno tenendo sorvegliato il malfattore, ed infatti coltivando le sue relazioni pieno di quel zelo che tanto lo distingue, venne a sapere verso il finire del Luglio ultimo che il Manzi avrebbe ripreso nuovamente i tentativi di un colpo di mano in questa Provincia e precisamente sul Barone Grella sul quale in su le prime la detta Autorità aveva fissata con molto senno ed acume la sua attenzione. Stabilite le cose con persone di sua confidenza e con alcuni proprietari influenti di quelle località, ne prevenne il Capitano Pistis Cav.Raimondo Comandante i Carabinieri Reali in questa Provincia e saputo che il giorno 13 del volgente Agosto il Manzi determinatasi ad effettuare il colpo, il Capitano sotto pretesto di passare in rivista il Circondario di S.Angelo dei Lombardi, il giorno 10 ivi conducevasi ed il Tenente Sig.Pecchioli Virgili Comandante la Sezione di Altavilla nella stessa provincia recatasi a Venticano ove soffermarsi in attesa di ordini per muovere verso Frigento. Il Capitano stando a S.Angelo si occupò con quel zelo che è in lui per bene disporre le cose e certo sotto la sua ottima direzione non si sarebbe potuto disperare della riuscita. Ma per una di quelle imprevedibili fatalità la banda Manzi ebbe a differire le sue operazioni e così il Capitano rientrò nel quattordici in questa residenza e il Tenente ebbe ordini di distendersi fino a S.Angelo dopo essere stato ammesso a confidenza dal Sig. Prefetto del servizio da rendersi con l’incarico di bene studiare il topografico e stabilire il suo piano di attacco.
Il Sig.Pecchioli in questa circostanza diede troppa chiara fama della sua svegliata intelligenza e di cognizioni tattiche di tal che fin dal giorno 16 fece noto con un servizio topografico al Sig.Prefetto col quale aveva corrispondenza diretta, il piano di operazione, lavoro che io ho visto con vera soddisfazione e che onora la Ufficialità del Corpo. Oltre a ciò il detto Ufficiale dispose il movimento da farsi all’occorrenza dalle varie Stazioni con tale precisione di tempo che il risultato doveva assolutamente fruttare un esito felice. Il Sig. Pistis intanto da questo Capoluogo, con quell’accorgimento tutto suo proprio, e da distinto Ufficiale qual è, diede energiche esatte e precise istruzioni alle Brigate di questo Circondario mosse verso quella direzione onde formare una seconda linea allo scopo di bene assicurare il servizio precludendo ogni scampo, restando in attesa del momento opportuno.
Stavano così le cose quando il Sig. Commendatore  Casalis nel giorno 19 fu avvisato che nella notte la banda Manzi avrebbe occupato la Casina Migliano in tenimento di Frigento, e perciò ne fece comunicazione al Sig.Pecchioli precisandogli l’ora delle 5 antimeridiane del 20 per quella dell’assalto.
Il ripetuto Sig.Pecchioli ottemperò a tale avviso con ogni esattezza, ed ai punti designati di riunione trovossi egli con un nucleo di sessanta Carabinieri, N.30 Soldati del 50° Fanteria comandati dal Tenente Benvenuti Sig. Melchiorre, e quindici Bersaglieri del Presidio di Montella comandati dal Sottotenente Berti Sig.Bartolomeo, ed i due Brigadieri dei Guardaboschi Cora Cav.Benedetto da Caposele e Santoro Carlo da Lioni; ma l’assalto alla cennata Casina quantunque eseguito a puntino risultò senza frutto perché i briganti che realmente eravisi recati nella notte, avvisati dal figlio del colono che nel susseguente giorno vi si sarebbe condotto il padrone, sloggiarono subito portandosi altrove.
Intanto il Sig.Prefetto a circa 11 pom. del 19 muoveva ed il Capitano Pistis, pochi Carabinieri e Guardie di P.S, e giungeva sul posto appena il Tenente Pecchioli compiva la sua operazione, tutti addolorati dallo sconforto, che il colpo era venuto fallito.
La intelligenza del Prefetto, la sicurezza in lui della bene ordita rete, ed una fiducia che nel suo animo sentiva per quel tale …del cuore umano risvegliò in tutti il nobile ardire, ed infatti dopo alquanti minuti ebbe delle nuove tracce, e dopo qualche ora la certezza che il Manzi con tutta la banda trovavasi riunita nel Casino Grella della Bufeta, quindi il Tenente Pecchioli  aveva missione dal Prefetto di disporre il servizio per un nuovo attacco su di altro punto, ripiegarono tutti su Frigento dove il Capitano Sig Pistis preso egli il Comando superiore, divise le forze in tre colonne, cioè: quella del centro comandata da lui avendo a dipendenze il Tenente di Fanteria, quella della sinistra dal Tenente Pecchioli e l’altra destra dal Sottotenente dei Bersaglieri.
Questo avveniva alle ore 3 pom.; e messesi  le colonne in marcia ciascuna per la sua direzione giungevano sul posto quasi contemporaneamente le due colonne quella del Capitano che presentatasi per la prima di fronte alla porta d’ingresso del Casino e quella del Tenente Pecchioli su di un fianco; dopo circa un dieci minuti quella dei Bersaglieri forse per maggiori ostacoli incontrati nella marcia.
I briganti all’apparire della Forza l’accolsero con una grandinata di palle che partivano dalle molte feritoie della Casina, ed appena il Capitano Pistis apparve alla testa di soli cinque suoi Carabinieri e che pel primo spiccosi all’attacco, fu tosto ferito al terzo medio della coscia sinistra con una palla da fucile, che credesi esplosagli proprio dal Capobanda, corrispondendone il calibro alla carabina dello stesso e che quantunque siasi internata nella parte carnea, pure per ora è stata giudicata guaribile fra 40 giorni salvo conseguenze;  e perciò messo fuori combattimento, mentre dal lato opposto a quello della porta d’ingresso ove eravi una finestra con cancello di ferro partiva un colpo che uccideva all’istante il Carabiniere a piedi Caccia Carlo della Stazione di Vallata.      
Il Sig Tenente Pecchioli visto il Capitano impossibilitato a reggersi in piedi assunse lui il comando delle forze e la direzione del servizio, e fatta saltare a via di fucilate la toppa della porta della Casina la dischiuse e quindi, dando l’esempio, insieme al  Maresciallo d’Alloggio a Cavallo Gambinossi Dante comandante la Stazione di Avellino, Bianchi Giovanmaria Brig. a piedi comandante la Stazione di Vallata, Ponticelli Francesco comandante la Stazione di Castel Baronia, Carabiniere a piedi Oliari Badese Bartolomeo Stazione Paternopoli e Ventura Remigio Stazione Vallata, Gelsomini Giovanni  Stazione S.Angelo dei Lombardi aggiunto a piedi Zambaruti Luigi Stazione Frigento, furono i primi ad affrontare quelli assassini che ne avvenne un combattimento corpo a corpo, e molti altri militari vi accorsero successivamente.
In questo combattimento, che ebbe la durata di circa 10 minuti, caddero tutti quei tristi, e i carabinieri Gelsomini e Zambaruti riportarono il primo una lieve ferita all’avambraccio sinistro e l’altro anche lieve ferita alla coscia destra ambo prodotte da proiettile. La banda componevasi dei nomi noti Manzi Gaetano capo, Manzi Gaetano fu Marcello, Marano Francesco, Brighella Giuseppe, De Biase Giustino, Pascale Giovanni, Varallo Celestino, Marino Luigi e Sanginito Angelo, dei quali il Manzi Gaetano fu Marcello rimase gravemente ferito insieme al Pascale, ed il De Biase riportò ferite lievi, gli altri tutti estinti.
Il Carabiniere a piedi Vighetti Gio:Battista della Stazione di Montella dall’esterno della Casina ebbe a riportare una leggera escoriazione alla tempia sinistra causata da proiettile, finalmente anche  dall’esterno della Casina venne contuso al fianco destro con proiettile d’arma da fuoco il Carabiniere a piedi Monti Antonio della Stazione di Ariano.
Questo brillante fatto compivasi alle ore 4 1/2 pom; ed il plauso generale echeggiava da tutti i punti della Provincia facendo onore al Prefetto che ben seppe il tutto disporre ed all’Arma e Truppa per la parte esecutiva.
In questo avvenimento in cui la gara dello zelo era ammirevole, la Truppa che vi prese parte non smentì il suo carattere belligerante di cui il nostro prode Esercito è dovizioso, e i due Sig Ufficiali che comandavano quelle soldatesche non solo spiegarono tutto il loro coraggio; ma quanto ancora animavano i dipendenti con l’esempio affrontando il pericolo con ogni abnegazione.
L’elogio della semplice parola sarebbe troppo languido compenso al merito, e perciò mentre io li raccomando alla saggezza e giustizia dei loro superiori diretti, mi permetto rispettosamente dire che,   ben volentieri li vedrei fregiati della medaglia al valor militare.
Il Capitano Sig. Pistis, distinto Ufficiale ebbe troppa sventura in questo fatto, perché appena presentatosi sul teatro dell’azione cadde ferito. Egli in quel momento non vedeva che il suo dovere zelante e attivo qual è sprezzante di ogni pericolo avrebbe il suo valore compiuto lui proprio il servizio; questa circostanza però è emanazione ferrea del suo modo esemplare di servire, del suo coraggio senza limite che mette nel disimpegno dei suoi obblighi; se egli adunque  cadde il primo lo fu appunto per lo scopo del servizio al quale si mirava, quindi ha il diritto di condividere insieme ai più distinti la gloria del risultato, e siccome trovasi già fregiato della medaglia al valor militare e della Croce della Corona d’Italia,  io sarei parere di conferirle l’altra di Savoia, che ben la merita, onorando questa un petto di un prode.
La condotta del Tenente Sig.Pecchioli tenuta nella circostanza per debito di coscienza e di giustizia, non debbo tacere a V.S.Ill. che fu superiore ad ogni elogio; l’intelligenza mostrata nei giorni precedenti all’azione per aver saputo bene applicare le sue cognizioni strategiche e tattiche, il suo sangue freddo nel momento dell’applicazione, il coraggio del quale diede stimolante esempio e l’esito completo del servizio ne fanno veder degno ancora della Croce di Savoia trovandosi già decorato della medaglia al valor militare, e spero che non vorrà essere ritenuta per troppo esagerata questa mia proposta.
Non meno è meritevole di onoranza la memoria del bravo Carabiniere a piedi Caccia Carlo che quasi  contemporaneamente alla ferita del Capitano altra palla a lui diretta lo freddava; questo compianto militare caro ai compagni e ai suoi Superiori,  ha lasciato un vuoto nell’animo di tutti, ed io fo preghiera perché la sua prematura perdita che il Corpo deplora e la inconsolabile paterna famiglia sia almeno compensato con la medaglia d’argento al valor militare. I Carabinieri a piedi Gelsomini Giovanni, Vighetti Giovann Battista, Monti Antonio, Zambaruti Luigi che riportarono leggere ferite proporrei per questi la menzione onorevole al valor militare, sebbene in quelli momenti le fucilate erano per tutti;  ma pure perché nell’emulazione giunsero a preferenza nei punti più minacciati e difficili deve il loro coraggio aver meritato. Come pure troverei meritevoli della medaglia d’argento al valor militare quantunque rimasti incolumi i seguenti individui perché se Fortuna loro arrise a salvarsi da conseguenze ciò non li rende meno degni del superiore apprezzamento inquantocchè furono i primi ad affrontare il pericolo con lo slanciarsi nell’interno della Casina col Tenente Pecchioli ove furono feriti il Gelsomini e Monti Maresciallo d’alloggio e Gambinessi Dante, Ponticelli Francesco, Carabiniere a piedi, Ventura Luigi, Salvati Matteo, Oleari Badese, Bartolomeo Venturi,  Remigio Bianchi, Giovanni Maria.
Tutti gli altri che presero parte al servizio di cui qui ne unisco elenco non meritano l’oblio perchè nessuno volle essere secondo all’altro; ma furono tra i meno fortunati e perciò li raccomando alla superiore saggezza per una incoraggiante parola di lode, non senza far risaltare a preferenza per molto coraggio i nomi dei militari seguenti Brig a piede Vignes Aniello e il Caputo Gabriele,  Luigi Carlo e Gelsomini Antonio, Frizzeri  Giuseppe.
Il Maggiore
Comandante nella Provincia di Salerno in missione in quella di Avellino
Tedeschi
 
 Epilogo

Che Manzo fosse stato ucciso lo si seppe subito, da un capo all’altro della provincia e ancora più lontano attraverso il telegrafo. Un mese dopo il massacro di Flumeri, il cugino di Manzo,  Manzitiello morì nel carcere di Avellino per le ferite riportate in combattimento e “in seguito a peritonite traumatica ed assistito dai conforti di nostra religione”.     
Il traditore Filippo Di Cecilia ottenne il premio di L.20.000 così come gli era stato promesso. Il Consiglio Provinciale di Salerno appresa la notizia della distruzione della banda, deliberò un premio di .L.3000, “da darsi a quei cittadini che non chiamati da dovere di ufficio, prestarono concorso per la distruzione della banda Manzi”. A ruota anche il Consiglio Comunale di Acerno che già aveva assegnato, con un limite di tempo, un premio di L.10.000 per la cattura o la morte di Gaetano Manzo capobanda e di L.2000 per il cugino.
Gli industriali della ditta Schlaepfer- Wenner e compagni che finalmente si erano liberati da un incubo (nell’ottobre del 1865 Gaetano Manzo sequestrò  per quattro mesi Federico Wenner, figlio dell’industriale svizzero ) offrirono L.2000 “ in favore dei Carabinieri e i Militari che maggiormente operarono alla distruzione della Banda Manzi ”.   
Il prefetto di Avellino Bartolomeo Casalis, che era diventato famoso, comunica al suo collega di Salerno l’intenzione di inviare sul posto un delegato per interrogare i superstiti della banda al fine di smantellare la rete di complicità di Manzi in quella provincia. Nelle tasche di Manzo seppellito sul posto della sua ultima battaglia, “furono trovate 820 lire in oro, certi amuleti e varie carte insignificanti ”.
 In tutti i comuni della due provincie e altrove, la notizia della morte di Manzo provoca una straordinaria eco e sentimenti  di grande soddisfazione. Alcuni comuni si tassano per festeggiare l’evento e nel Comune di Campagna si fa festa con “luminarie e suono di banda musicale”. La  Giunta Municipale di Flumeri deliberò la spesa di trenta lire per fotografare la testa di Manzo. A Montecorvino Rovella la banda suona in piazza. Ad Acerno si distribuiscono 70 lire di elemosine ai poveri. Plaude il Procuratore del Re: “Mi affretto esprimere alla S.V. grazie sincere e distinte per le comunicazioni che con le graditissime sue lettere di ieri sera si compiacque porgermi intorno alla totale distruzione della banda Manzi in quel di Flumeri e sono lieto di manifestarle tanto per mio conto, che come interprete del sentimento di tutta questa Magistratura, i sensi della viva soddisfazione provata per un così segnalata servizio di pubblica tranquillità. Solamente se in questo momento vi à un altro affetto che può eguagliare la gioia dello splendido risultato ottenuto, non è che il rammarico per la caduta in conflitto di un valoroso Carabiniere Reale e per le ferite riportate dal Capitano Pistis e da altri due carabinieri. Liberate così queste contrade dall’incubo di quel feroce masnadiere, mi è grato sperare che la riacquistata calma riesca elemento fecondo di prosperità e di più rigorosa efficacia all’azione del Governo del Re, dalla S.V.Illma tanto degnamente rappresentato ”.
Salerno 20 Agosto 1873
 
Egregio Sig.Comm.e  
Comincio col ringraziarla, le mie più vive congratulazioni per lo splendido successo da lei riportato colla distruzione della banda Manzi…reputo opportuno di spedire sul posto il Delegato Sig. Ermanno Sangiorgi, dal quale (si spera) di poter raccogliere da qualcuno dei briganti, che probabilmente sarà sopravissuto al conflitto, quelle notizie che valgono a riconfermare le attinenze della banda coi manutengoli di quella Provincia. Ella comprenderà che non bisogna lasciarsi sfuggire questa felice opportunità per mettere le mani su quella estesa moltitudine di complici manifesti e latenti del famoso capobrigante che ne ha reso fin qui possibile la lunga e quasi sicura latitanza. Rinnovandole frattanto le espressioni del mio sincero compiacimento e gli attestati di sincera stima, torno a disegnarmi.
Il Pref. Comm Casalis Prefetto di Avellino    

 
Prefettura di Avellino              
Avellino Agosto 1873

La ringrazio delle congratulazioni che si compiacque di trasmettermi per la cattura completa della Banda del famigerato Manzi avvenuta in questa Provincia il 20 del corrente mese.
Per quanto questo servizio abbia la sua importanza non fù che un preciso dovere del mio ufficio, dovere il cui compimento mi facilitarono l’egregio mio collega di Salerno comm.Basile e l’illustre Generale Pallavicini, ed al quale concorsero per l’esecuzione l’arma dei Reali Carabinieri, e la truppa con quella bravura e precisione che erano i principali coefficienti della riuscita.
Le rinnovo i miei ringraziamenti e riconoscentissimo mi dichiaro
 Suo devot.° servitore
CASALIS  

Ieri ebbe luogo conflitto in territorio di Flumeri circondario di Ariano con banda Manzi ricoverata in un Casino con feritoie, Briganti erano 9 dei quali sei furono uccisi e fra essi il Capobanda Manzi; altri tre più o meno gravemente feriti. Della forza morto un Carabiniere, ferito il Capitano Pistis e due altri Carabinieri leggermente - Bravura ed intelligente operosità Carabinieri Truppa al di sopra d’ogni elogio. Paesi circonvicini luogo avvenimento grande entusiasmo con manifestazioni plauso e riconoscenza al Governo.
Prefetto Casalis

 

Provincia di Principato Citra
Giffoni Valle Piana 22 Agosto 1873

Circondario di Salerno
Municipio di Giffoni Valle Piana
Il sottoscritto in assenza del sindaco sente l’obbligo di esprimere alla S.V.Illma i più vivi e sentiti ringraziamenti tanto in nome proprio, che in nome di tutti i cittadini onesti di questo Comune, per la completa distruzione della banda del famigerato Manzi, la quale disgraziatamente ha infestato queste contrade per opera di pochi tristi e facinorosi che colle loro turpi nefandezze hanno gittato il paese nell’avvilimento e nella prostrazione.
Coglie pertanto questa occasione per avanzare calde preghiere alla S.V.Illma onde voglia compiacersi ordinare che un funzionario di Pubblica Sicurezza continui per qualche tempo a dimorare in questo Comune affinché con la sua attività ed energia estirpi la mala pianta della camorra e dell’impunito assassinio… Imperocchè tali misfatti rimarranno ancora nel mistero e senza castigo, questo paese ne rimarrà sempre soggiogato ed e per questo lieta e benefica sia qui giunta la nuova della distruzione del Manzi, ciò non sarà che un momentaneo sollievo ai mali che tanto profondamente lo travagliano. E poiché il delegato di Pubblica Sicurezza Sig.Giovanni in quel poco tempo che à qui dimorato à dato prova d’aver a pieno conosciuta l’indole del paese…a colpo d’occhio sicuro il reo dall’innocente, così il sottoscritto prega la S.V.Illma, qualora non creda disporre diversamente, farlo trattenere in questo Comune finchè lo spirito pubblico non venga equilibrato nella sua piena sicurezza mediante l’applicazione delle salutari disposizioni della Legge.
Chi scrive è sicuro che la S.V.Illma nel pubblico interesse morale e materiale di questo Comune,voglia esaudire le sue preghiere.    
Pel Sindaco
L’assessore Delegato
Giovanni Mancusi

 

Provincia di Principato Citra
Municipio di Montecorvino Rovella lì 21 agosto 1873                       
Ill.mo Sig Prefetto della Provincia di Salerno
La notizia della distruzione della banda Manzi veniva accolta dal sottoscritto e dai suoi amministrati con gioia indescrivibile, essendosi così posto termine alle angustie di cui questo paese è stato vittima per fatti del Comune limitrofo. Lo scrivente, avrebbe taccia d’ingratitudine, se non esprimesse, a nome proprio e del paese, il più alto compiacimento alla Signoria Vostra Illma pel servizio eseguitosi, che senza dubbio ne va dovuto buona parte alla di Lei esperta direzione, ed alla energia e coraggio dei funzionari che ne eseguirono gli ordini. Accetti V.S. i più sentiti ringraziamenti da parte di questi amministrati mentre chi scrive le esprime la più sentita stima e rispetto.
Il Sindaco Provenza  

Prefettura del Principato Ulteriore al Prefetto di Salerno
 Riservata                                                                                                 Avellino, 4 Settembre 1873
Piacciami assicurare subito S.E.Ill.ma in riscontro alla Nota a sinistra indicata, che al La Cecilia oltre al premio convenuto di Lire 20,000 , che gli sarà pagato, non compete altro, essendo questo il patto meco convenuto. Gli altri sussidi sono destinati ad un numeroso stuolo di confidenti, guardaboschi, agenti ecc, di cui è stato d’uopo valersi, per la diramazione degli ordini e per le operazioni di accertamento, e che ora ne fanno le più vive istanze, tanto più che alcuni temono la vendetta dei parenti dei briganti uccisi e dei loro complici. Io le sono grato delle premure che S.E.Ill.ma si è dato per assumere notizie circa le elargizioni che siano state stanziate da altri Comuni della Provincia di Salerno e in aspettativa di notizie a ciò relative colgo l’opportunità per confermarle, che nel reparto delle ….e in specie di quella deliberata dal Consiglio Provinciale, avrò ben presenti i desideri manifestati per statuire un assegnazione competente alla famiglie dei militari. Il Prefetto    
 
“Ma in quella lotta disperata, condotta in forme rozze e primitive, corrispondenti alla loro arretratezza e alla loro insufficiente maturità politica e sociale, i contadini meridionali dettero prova di combattività e di energia indomite che, dopo la sconfitta, si riversarono sulle tribolate vie dell’emigrazione. Indubbiamente, tra i briganti non pochi furono quelli che la miseria, l’ignoranza, la mancanza di un lavoro certo, e anche gli istinti perversi, spinsero a malfare e a porsi fuori dalla legge comunemente accettata per soddisfare ciechi impulsi di vendetta e di rapina. Ma molti altri furono posti, dalle circostanze e dalla società in cui vissero, dinanzi all’alternativa di vivere in ginocchio o di morire in piedi. La loro scelta preannuncia, in un certo senso, le lotte sempre più civili e più consapevoli che i contadini del Sud avrebbero condotto per la propria emancipazione nei decenni che sarebbero venuti ”.
Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità.

Capitolo Dodicesimo>>

 
 
 
 
Pontecagnano Faiano
San Cipriano Picentino
San Mango Piemonte
 
 
 
 
             
  Avviso di Copyright 2006 © Redazione Per la tua Pubblicità Link utili Il Periodico