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Registrazione Trib. di Sa n°22 del 07.05.2004
 
 
 
 
 
 
 
 
 

LA TRAGICA STORIA DI VINCENZO FERRI PRECIPITATO SUL MONTE TERMINIO

Matteo Ripa Eboli

Morire l’ultimo giorno di guerra. Questo è stato il destino del sottotenente di complemento Vincenzo Ferri il quale perse la vita il giorno prima della proclamazione dell’Armistizio in un vano attacco contro una formazione di bombardieri statunitensi che dall’indomani non sarebbero più stati considerati nemici. Diversi testimoni oculari hanno riferito la notizia del suo abbattimento. Grazie al certosino lavoro svolto da Gianni Coscia, membro dei SALERNO AIR FINDERS, è stato possibile rintracciare presso l’Archivio di San Francesco a Folloni il racconto di uno di questi, Giuseppe Scandone, il quale annotò quanto accadde nella sua Montella nei tragici giorni del settembre 1943. Relativamente a ciò che avvenne l’8 settembre scrisse: “Successivamente, poco più tardi, furono trasportati in un sacco a dorso di mulo e deposti nella Collegiata i resti del tenente pilota Ferri il cui velivolo, un Macchi 202, era andato a schiantarsi, dopo un atterraggio non riuscito, presso la sorgente di Sant’Anna, nella pianura delle Acque Nere. Fu constatato che l’eroico pilota era stato colpito alla schiena da un proiettile di mitragliatrice di un aereo della squadriglia di ‘fortezze volanti’ in missione di guerra su Napoli. Ma la nostra euforia per aver appreso della fine della guerra (come noi credevamo) aveva fatto passare in secondo luogo il recupero del corpo dello sfortunato aviatore”. Fin qui il racconto dello Scandone già abbastanza dettagliato nell’indicare il luogo dell’impatto. Egli però aveva allegato alla sua testimonianza una foto del pianoro della Acque Nere scattata dal Monte Cercetano indicando con una freccia il punto esatto dove cadde il Macchi. Con queste informazioni Gianni ha contattato Carmine Monetta, che possiede un maneggio sul Terminio, il quale molto gentilmente si è offerto di farci da guida. Una volta organizzata una squadra per il sondaggio ci siamo recati sul posto dove abbiamo incontrato Adamo, proprietario delle mucche al pascolo nel pianoro. Egli, oltre ad indicarci con notevole precisione il punto dell’impatto ci ha anche riferito che sua nonna gli raccontava di un aereo che cercò di atterrare nella radura ma che alla fine andò a sbattere contro la base delle montagne che la circondano. Fin da subito abbiamo ritrovato frammenti di alluminio e bossoli da 12,7 che ci hanno confermato di essere nel punto giusto. Il recupero di una targhetta del serbatoio Breda e il pezzo di un ingranaggio del motore in linea, così come ci hanno prontamente riferito gli amici di ARCHEOLOGI DELL’ARIA, hanno dimostrato che si trattava proprio del Macchi 202. A questo punto abbiamo contattato il sig. Boseggia dell’Associazione Arma Aeronautica di Tarquinia intitolata proprio a Vincenzo Ferri. Egli ci ha immediatamente messo in contatto con Walter Padovani, nipote dello sfortunato aviatore, il quale è stato ben lieto di fornirci informazioni e foto del fratello di suo madre. Vincenzo Ferri nacque ad Ancona il 4 dicembre 1919 da Nestore e Zaira Fagnani. In seguito la famiglia Ferri si trasferì a Tarquinia. Vincenzo conseguì il brevetto di pilota civile e quindi, quando venne richiamato alle armi, fu destinato prima alla scuola di pilotaggio di Falconara e poi a quella di Gorizia. Ricevette il brevetto di pilota militare su C.R. 42 il 2 marzo 1943. Fu quindi inviato al 1° Nucleo Addestramento Caccia e quindi, il 23 agosto 1943, arrivò al 22° Gruppo Autonomo C.T. con sede all’aeroporto di Napoli Capodichino. Vincenzo fu assegnato alla 359^ squadriglia comandata dal capitano Sant’Andrea. La mattina del 7 settembre l’unità composta da 7 apparecchi si alzò in volo al comando del tenente salernitano Orfeo Mazzitelli, asso della Regia Aeronautica,  per cercare di intercettare una formazione di circa 100 bombardieri B-17 che rientrava alla base dopo aver colpito le installazioni aeroportuali di Foggia. La sproporzione fra le forze era evidente. Ogni B-17 poteva disporre di 13 mitragliere da 12,7. Inoltre, essi volavano in formazione serrata per presentare un vero e proprio muro di fuoco ai caccia che avessero tentato di attaccarli. Da parte loro i Macchi della Regia Aeronautica disponevano di 2 sole mitragliere da 12,7 e, in alcuni casi, anche di 2 da 7,7 mm. Cosa accadde lo possiamo apprendere dalla commossa lettera che il tenente Mazzitelli scrisse da Salerno alla sorella di Vincenzo il 30 aprile 1945: “Gentile Signorina,in questo momento ho ricevuto la sua raccomandata e con infinito dolore espleterò questo increscioso compito. Il suo Enzo era nella mia squadriglia e partimmo insieme uno degli ultimi giorni di guerra nel settembre del 1943, per una missione di guerra. Conoscendo il suo ardente impeto disposi che si fosse immediatamente messo dietro di me che funzionavo da capo pattuglia, e dietro di lui seguiva un anziano pilota, con il preciso compito di non abbandonarlo mai qualora si fosse allontanato dalla nostra formazione. Queste precauzioni furono da me prese perché il caro Enzo era ai suoi primi combattimenti. Un primo scontro con gli aerei nemici lo abbiamo avuto sulle montagne calabresi, e condusse l’attacco con calma ritornandomi dietro appena uscito dalla mischia; successivamente dopo altri ripetuti attacchi, mentre s’inseguivano gli aerei sulla rotta di ritorno, il suo aereo rimase colpito probabilmente al motore, in quanto da una quota di circa 3000 metri iniziò una planata lenta, per cui fu chiaro che egli cercava un atterraggio di fortuna per portare in salvo l’aereo, disdegnando la sicura salvezza per mezzo del paracadute. Si era sulle montagne di Acerno, nei pressi di Salerno, egli scelse un campetto in mezzo ai monti onde poter depositare il suo aereo. Tentò due volte l’atterraggio ma l’angustità del campo, circondato da pareti montagnose, gli resero la manovra infinitamente ardua. Ad un certo punto s’è visto l’aereo toccare velocemente la terra per poi fermarsi sulla parete della montagna che limitava l’angusto campo. Non è stato possibile vedere altro tranne l’accorrere di alcuni pastori che si trovavano in quei pressi. Nessuno può dire che cosa se ne sia fatto di Enzo in quanto non fu possibile effettuare delle ricerche a causa del precipitare degli eventi per cui fummo bloccati in Aeroporto senza poterne uscire. Non escludo, nonostante il brusco atterraggio, che Enzo si sia potuto salvare, però il fatto che fino ad oggi non si sia fatto più vivo, lascia perplessi tutti quelli che non hanno cessato di amarlo, né mai dimenticato. Fino a questo momento non mi è stato possibile andare sul luogo a causa di tanti impedimenti che sarebbe lungo raccontarle ora, ma le assicuro che appena ne avrò la possibilità mi recherò sul posto per attingere notizie dai testimoni oculari. Infiniti auguri e saluti”. La sepoltura di Vincenzo Ferri non è stata mai ritrovata. Walter Padovani ci ha riferito che i nonni non poterono recuperare che qualche effetto personale sul luogo dell’impatto ma non riuscirono mai ad individuare dove il loro povero figlio era stato seppellito. Forse i concitati eventi che seguirono all’8 settembre e il fatto che la zona fu teatro di combattimenti fra truppe tedesche e americane a seguito dell’operazione Avalanche fecero dimenticare l’ultima dimora di questo sfortunato aviatore. E’ auspicio dei SALERNO AIR FINDERS di poter far luce anche su questo aspetto della vicenda.

Matteo Pierro

 
 
 
 
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