 PH.D.
PH.D.
                                presenta
  LUCIO DALLA
                                in
  IL CONTRARIO DI ME
  tour teatrale
                                Dopo continui impegni tra regie  teatrali, performance con grandi orchestre
                                (Royal Philarmonic Orchestra, Orchestra  Ciaikovskij di S. Pietroburgo) e
                                concerti-evento in grandi spazi, il  cantautore “a tutto campo ” torna in teatro
                                privilegiando spazi più raccolti per  potersi rivolgere al suo pubblico
                                direttamente, faccia a faccia, occhi  negli occhi, con scenografie teatrali,
                                musicisti a 360 gradi e alcuni momenti  di vera e propria recitazione
  “ musicalizzata ”, con brani scritti  da lui stesso e recitati dall’attore Marco
  Alemanno già Arlecchino nell’ultima  regia di Dalla al festival di Wexford in
                                Irlanda.
                                La scelta del cantautore bolognese di  tornare in teatro per cantare i suoi
                                successi, ormai diventati memoria  storica per il pubblico di molte generazioni,
                                nasce dal consenso che ha ottenuto il  suo disco “Il contrario di me ” uscito,
                                oltre che nei negozi di dischi anche,  e per la prima volta in Italia, in tutte
                                le edicole.
                                Sul palco i suoi fedeli musicisti (Bruno  Mariani e Ricky Portera alle chitarre;
  Roberto Costa al basso, Fabio  Coppini alle tastiere, Gionata Colaprisca alle
                                percussioni, Maurizio dei  Lazzaretti alla batteria, vocalist Iskra Menarini) e
                                l’attore Marco Alemanno che  oltre a cantare la canzone del nuovo album
  “ I.N.R.I. ” in duetto con Lucio è  uno dei produttori (con Dalla) del disco. Le
                                scenografia e l’allestimento sono  curate da Italo Grassi. La produzione del
                                tour è di Bruno Sconocchia per Ph.D.  srl
  abbonamento intera  stagione da giovedì 30 ottobre a domenica 2
  novembre
  abbonamento a 5  spettacoli martedì 28 e mercoledì 29 ottobre
                               
                              DOPPIAEFFE -  COMPAGNIA DI PROSA MARIANO RIGILLO
                                presenta
  MARIANO RIGILLO
  ANNA TERESA ROSSINI
                                in
  ROMOLO, IL GRANDE
                                Una commedia storica che non si  attiene alla storia di Friedrich
  Dürrenmatt
                                traduzione di Aloisio Rendi
                                con
  NICOLA D’ERAMO,  MARTINO DUANE, LUCIANO D’AMICO, PIETRO FAIELLA, NORMA MARTELLI,
  LILIANA MASSARI,  FRANCESCO CUTRUPI, DAVIDE D’ANTONIO FRANCESCO FRANGIPANE,
  ANTONIO FORNARI,  LORENZO PRATICO’, ALFREDO TROIANO
                                scene e costumi LORENZO GHIGLIA
                                musiche LINO PATRUNO
                                disegno luci LUIGI ASCIONE
                                regia ROBERTO GUICCIARDINI
                                Mariano Rigillo è da sempre interprete  di testi importanti che si evidenziano
                                per messe in scena innovative e  apprezzate.
                                L’allestimento di “ Romolo, il Grande”  si basa sull’omonimo testo di Friedrick
                                Dùrrenmatt, scrittore svizzero che ha  sempre fatto scalpore per il taglio non
                                troppo “politicamente corretto ” dei  suoi romanzi, caratteristica mantenuta
                                viva da Roberto Guicciardini che ne  cura la regia.
  “ Comico e insieme pessimistico, “  Romolo, il Grande ” è, come recita il
                                sottotitolo, una commedia storica che  non si attiene alla storia,
                                rappresentando il Tardo Impero Romano  alla vigilia della sua caduta. Un impero
                                che era riuscito a sopravvivere  basandosi sull’ideale di uno stato autoritario
                                oppressivo e violento, è ora allo  sfacelo e il suo Imperatore, per tutta
                                risposta si consacra unicamente all’allevamento  di polli.
                                Inutili gli appelli dell’Imperatrice  che vuole risvegliare le ambizioni del
                                regale consorte. A corte gli unici  funzionari ancora efficienti sono il cuoco e
                                i due camerieri, mentre l’esercito  invasore si appressa sempre di più.
                                Situazioni comiche e satira amara si  incrociano verso un epilogo inaspettato.
                                Alla testa dell’Impero c’è un uomo che  non vuole più corrispondere alle
                                aspettative, disprezzato da tutti per  la sua manifesta debolezza nel comando.
                                In realtà, la maschera del pazzo è  solo una simulazione infatti Romolo vuole
                                esprimere il proprio rifiuto per il  mondo in cui vive perché non crede più
                                negli ideali su cui si basa.
                                In scena c’è soprattutto un mondo  grottesco che non può più essere superato
                                agendo e trasformando, come auspicava  Brecht nella sua drammaturgìa, ma può
                                solo essere sofferto e sopportato.
                                Romolo è Grande perchè è l’unico a  riconoscere il carattere grottesco della
                                realtà e decidere di recitare il ruolo  di clown.
                                Di Romolo vanno colte ironia e  autoironia le difese più efficaci contro la
                                disperazione e il senso di impotenza.
                                Quest’ideale di eroismo è proposto in  maniera divertente facendo uso di gags
                                cabarettistiche e di esagerazioni  grottesche, in un linguaggio insieme
                                espressivo e di grande effetto. ”
                                Roberto Guicciardini
  abbonamento intera  stagione da giovedì 6 a domenica 9 novembre
                               
                              BALLANDI  ENTERTAINMENT
                                presenta
  MARIANGELA MELATO
                                in
  SOLA ME NE VO
                                testo di Vincenzo Cerami, Riccardo  Cassini, Mariangela Melato,
  Giampiero Solari
                                con musicista in scena LORENZO  CAPELLI
                                corpo di ballo
  MARCO BEBBU, STEFANO  BENEDETTI, TONY B., EMANUELE PINNA,
  PAOLO SABATINI,  MARCELLO SACCHETTA
                                musicisti in video
  RUGGERO BRUNETTI – chitarra, ROBERTO  GALLINELLI – basso,
  CRISTIANO MICALIZZI – batteria,  FERNANDO BRUSCO – tromba,
  LUCA GIUSTOZZI – trombone, CLAUDIO  PIZZALE - sassofono
  PRISCA AMORI – violino, ADRIANA  ESTER GALLO – violino, ROSARIA PANEBIANCO -
                                viola
  GIUSEPPE TORTORA – violoncello,  MASSIMILIANO PITOCCO – bandoneon
                                musiche LEONARDO DE AMICIS
                                coreografie LUCA TOMMASSINI
                                impianto scenico e luci MARCELLO  JAZZETTI
                                costumi FRANCESCA SCHIAVON
                                regia di GIAMPIERO SOLARI
                                Dopo l’enorme successo ottenuto nella  passata stagione, Mariangela Meleto torna
                                a teatro con il suo spettacolo Sola me  ne vo, spettacolo teatrale che la
                                propone in una veste completamente  insolita. In questo spettacolo la grande
                                attrice italiana si confronta con un  genere per lei nuovo, il “One woman
                                Show ”, nel quale racconta storie,  recita monologhi intensi e brillanti, canta e
                                balla affiancata da ballerini e  musicisti. Mariangela Melato ci offre una
                                carrellata di storie inventate e  storie vissute, fa considerazioni personali
                                sul modo di vedere la vita, cita testi  teatrali di Brecht, Gaber, Shakespeare,
                                Tennesee Williams. Ci racconta della  sua Milano degli anni ’60 e dei suoi inizi
                                nel mondo del Teatro. Ci racconta di  sé come attrice e come donna che con
                                orgoglio ha fatto della solitudine una  scelta di vita ed è così, sola, che si
                                presenta sul palco al suo pubblico.
                                Sola me ne vo è una parentesi diversa  nel percorso teatrale della Melato e al
                                tempo stesso la grande prova di un’attrice,  che arrivata al culmine della sua
                                carriera, si rimette in gioco  misurandosi con un genere completamente nuovo,
                                elegante ed originale con testi che  portano la firma di Vincenzo Cerami,
                                Giampiero Solari, Riccardo Cassini e  Mariangela Melato. Le musiche originali e
                                gli arrangiamenti delle canzoni sono  del maestro Leonardo De Amicis, le
                                coreografie originali di Luca  Tommassini. La regia è affidata a Giampiero
                                Solari. Una squadra che ha già  collaborato in diverse occasioni e che non a
                                caso si è riunita intorno a questa  grande artista.
                                Con Sola me ne vo la Ballandi  Entertainment amplia il suo sforzo produttivo a
                                360° nel mondo dello spettacolo  italiano e consolida il suo impegno nel Teatro
                                al fianco di una grande artista come  Mariangela Melato, prima attrice e simbolo
                                del Teatro italiano.
  abbonamento intera  stagione da giovedì 20 a domenica 23 novembre
  abbonamento a 5  spettacoli martedì 18 e mercoledì 19 novembre
                               
                              GLI IPOCRITI
                                presenta
  ISA DANIELI
                                in
  MADRE CORAGGIO
                                di Bertolt Brecht
                                rielaborazione del testo Antonio  Tarantino, traduzione Roberto Menin
                                con ALARICO SALAROLI, MARCO  ZANNONI, LELLO SERAO, ARIANNA SCOMMEGNA
                                XENIA BEVITORI, CARLO CARACCIOLO,  MATTEO CREMON, ANTONIO FABBRI, TIZIANO FERRARI, VESNA
                                HROVATIN, PAOLO LI VOLSI, FABIO  MASCAGNI, AURORA PERES, SERGIO RAIMONDI, LUIGI TABITA, SHI
                                YANG
                                scene BRUNO BUONINCONTRI
                                costumi GIANLUCA FALASCHI
                                musiche PASQUALE SCIALÒ
                                luci CESARE ACCETTA
                                regia CRISTINA PEZZOLI
  Bertolt Brecht (Augusta 10 febbraio  1898 – Berlino 14 agosto 1956) nel 1939, durante
                                il suo soggiorno in Danimarca, alla  vigilia della Seconda Guerra Mondiale, scrisse
  “ Madre Coraggio e i suoi figli ”;  la prima rappresentazione avvenne a Zurigo nel
                                1941. L’opera teatrale “Madre  Courage e i suoi figli ” sottotitolo “Una cronaca
  dalla guerra dei  Trent’anni ”  porta in scena le vicende verificatesi tra il 1624 ed
                                il 1636 nel corso della guerra dei  trent’anni (1618-1648); il conflitto fra
                                Cattolici e Protestanti nel Sacro  Romano Impero fornì alle potenze europee il
                                pretesto per dare il via ad una lotta  che segnò la fine dell’egemonia asburgica in
                                Germania e la sconfitta della  Controriforma, cosa che provocò ingenti perdite
                                demografiche e grave decadenza  economica in particolar modo alla Germania.
                                La protagonista del dramma è Anna  Fierling, vivandiera/commerciante detta Madre
                                Coraggio per aver sfidato le cannonate,  durante l’assedio per portare a termine il
                                suo commercio di pagnotte ammuffite.  Gli affari vengono prima di tutto e, pur
                                essendo bravissima nel suo “lavoro ”,  ciò non toglie che esso si basi
                                prevalentemente sulla miseria e sulla  sventura degli altri. Padrona di un carro, che
                                utilizza sempre nei vari spostamenti,  è accompagnata nel suo “viaggio di lavoro ”
                                dai tre figli che, giusto per inciso,  hanno tre cognomi diversi considerato che
                                Madre Coraggio non ricorda nemmeno i  nomi dei padri con certezza. Schweizerkas è il
                                figlio buono e onesto che, per troppa  onestà, si fa uccidere da un sergente
                                disonesto; Eilif, che è forte e  robusto, aiuta la madre a spingere il carro e a fare
                                affari, ma il brigadiere e il  reclutatore lo portano via, arruolandolo
                                nell’esercito; fortuna che Madre  Coraggio segue sempre gli eserciti e ha modo di
                                rivederlo tra un’eroica azione e l’altra  e tra un massacro di contadini e un
                                sequestro di bestiame. Arriva una pace  temporanea, Eilif sarà processato e ucciso
                                come criminale per le azioni commesse  in guerra. Kattrin, la figlia muta, che sente
                                di essere un grave peso per la madre,  vive nella speranza della pace che
                                difficilmente potrà arrivare così come  il marito che lei sogna. Fortuna che la madre
                                non l’abbandona dopo la morte dei  fratelli e dopo che un cuoco le propone di buttar
                                via Kattrin e andare a vivere con lui.  Sarà l’unica vera eroina di tutta questa
                                tragedia! Morirà per salvare la città  e fermare la guerra. Per Madre Coraggio
                                nemmeno i figli contano, vorrebbe  tenerli fuori dalla guerra, ma non può fare a meno
                                di sacrificarli o comprometterli “nella  guerra…..in fondo, lo dice anche il
                                brigadiere nella prima scena “è  impossibile pensare di poter vivere della guerra,
  senza pagarle gli  interessi ”. Madre  Coraggio, nonostante la perdita dei figli, non
                                capisce che la guerra è un affare solo  per potenti e pensa di poterne fare un affare
                                personale al seguito degli eserciti in  lotta. Durante le sue peregrinazioni per
                                l’Europa, Madre Coraggio incontra  soldati e reclutatori senza scrupoli, una
                                prostituta e un generale, un cuoco, un  cappellano ecc… una umanità piena di miserie,
                                dolori e cinismi a cui si è costretti  ad assistere in guerra.
  “ la guerra è solo  la continuazione degli affari con altri mezzi, ma i grandi affari non li
  fanno la povera  gente, e nella guerra le virtù umani diventano mortali ” questa è, secondo
  Brecht, la morale del  dramma.
  “ Il vincolo di un  testo, di ogni testo, non è la sua assoluta necessità, in ordine alle
  parole con le quali è  stato creato come congegno espressivo, ma è la sua fatalità, ovvero il
  suo destino, la sua  fortuna. Lo stesso autore avrebbe potuto riscrivere “la cosa ” in cento
  modi differenti. E in  ciò risiede l’infinitezza di un testo, di tutti i testi ”. (Antonio
  Tarantino)
  abbonamento intera  stagione da giovedì 15 a domenica 18 gennaio
  abbonamento a 5  spettacoli martedì 13 e mercoledì 14 gennaio
                               
                              IL SISTINA E TITANUS
                                presentano
  BIANCA GUACCERO
  MICHELE CARFORA
                                in
  POVERI MA BELLI
                                un'idea di Pietro Garinei e Guido  Lombardo
                                Progetto artistico di Enzo Garinei
                                scritto da MASSIMILIANO BRUNO e EDOARDO FALCONE
                                musiche di GIANNI TOGNI
                                coreografie di FRANCO MISERIA
                                scene di MARCO CALZAVARA
                                costumi di GIOVANNI CIACCI
                                regia di MASSIMO RANIERI
                                Con Poveri Ma Belli, Il Sistina  presenta un grande spettacolo musicale nella
                                tradizione di quelli targati 'Garinei  e Giovannini'. Poveri Ma Belli è stato un
                                film di grande successo degli anni  50/60, diretto da Dino Risi, interpretato da
                                un gruppo di attori allora di moda e  prodotto dalla Titanus di Goffredo
                                Lombardo. Lo spettacolo ha incuriosito  e interessato il mondo teatrale italiano
                                tant'è che è già richiesto in tutta  Italia ed ha in programma una lunga tournèe
                                che partirà proprio dal Teatro  Sistina..
                                Nel ruolo della protagonista Bianca  Guaccero.
                                Il resto del cast è attualmente in via  di definizione. Dice Massimo Ranieri, il
                                regista: 'Portare in scena, in  commedia musicale, il film Poveri Ma Belli,
                                grande commedia dedicata a Roma, è  impresa abbastanza ardua. Soprattutto per
                                chi, come me, si accinge a doverlo  dirigere seduto nella platea di quello che è
                                il teatro più famoso in Italia (e,  forse, in Europa) proprio per questo genere
                                di spettacolo. L'intento è quello di  proporre al pubblico una storia fatta di
                                sentimenti puri, veri, genuini non  contaminati e mistificati come sono ai
                                nostri giorni.
                                Uno spettacolo fatto di attori, di  musica, di balletti, di scenografie e di
                                costumi. Tutte facce della stessa  medaglia e tutte importanti allo stesso
                                modo'.
                                In breve la storia. In uno dei più  antichi rioni di Roma vivono due giovani
                                bulli, Romolo e Salvatore. Romolo fa  il bagnino in uno stabilimento balneare
                                sul Tevere e Salvatore è commesso in  un negozio di dischi. I due sono amici
                                intimi ed anche le loro famiglie sono  tra loro legate. Non lontano dalla loro
                                casa apre bottega un sarto che ha una  bella figliola, Giovanna. I due giovani
                                si mettono a fare la corte alla  ragazza. Giovanna è in dubbio e non sa
                                decidersi. Alla fine si promette a  Salvatore, ma quando Romolo finge di
                                uccidersi per il dispiacere, le cose tornano  al punto di prima. E così
                                continuerebbero se Giovanna non  incontrasse un precedente fidanzato, del quale
  è ancora innamorata. Rimasti soli i  due ragazzi si accorgono dell'amore provato
                                nei loro confronti dalla sorella  dell'amico. Così alla fine Salvatore
                                s'innamorerà della sorella di Romolo e  Romolo di quella di Salvatore.
  abbonamento intera  stagione da giovedì 22 a domenica 25 gennaio
                               
                              TEATRO DI ROMA –  ELLEDIEFFE
                                presentano
  La compagnia di  teatro di luca de filippo
                                in
  FILUMENA MARTURANO
                                di Eduardo De Filippo
                                con
  LINA SASTRI
  LUCA DE FILIPPO
                                e
  NICOLA DI PINTO,  ANTONELLA MOREA
  GIUSEPPE RISPOLI,  GIOIA MIALE, DANIELE RUSSO
  ANTONIO D’AVINO,  CHIARA DE CRESCENZO,
  CARMINE BORRINO,  SILVIA MAINO
                                luci STEFANO STACCHINI
                                costumi CRISTIANA LAFAYETTE
                                scene ENRICO JOB
                                regia FRANCESCO ROSI
                                Filumena Marturano, donna del popolo,  ex prostituta, tolta dal postribolo da un
                                napoletano borghese e benestante,  Domenico Soriano, tenuta per venticinque anni
                                nella casa di lui come amante, pur se  in condizioni di inferiorità; autrice di
                                uno stratagemma per farsi sposare “in  extremis ” dall’uomo che vuol porre fine
                                al legame perché si è innamorato di  una giovane che vuole sposare, è una delle
                                commedie che Eduardo definiva “commedie  sociali ”.
                                Rappresentata per la prima volta al  Politeama di Napoli il 7 novembre 1946,
  “ Filumena Marturano ” è, delle  commedie di Eduardo, la più rappresentata in
                                tutto il mondo.
                                Filumena conduce il filo del dramma  con la sapienza e la determinazione dovute
                                al sentimento di una maternità tenuta  segreta per anni e poi rivelata. Filumena
                                ha tre figli, avuti da tre uomini  diversi, li ha voluti, li ha cresciuti, li ha
                                assistiti, rimanendo nell’ombra senza  mai rivelarsi come madre. Solo di uno è
                                sicura la paternità, il figlio di  Domenico Soriano, ma Domenico non lo sa e non
                                lo deve sapere. Quando Filumena decide  che lo deve sapere e glielo dirà, non
                                gli dirà altro, chi è, come si chiama,  come vive: perché “ i figli sono figli ”
                                e devono essere tutti uguali, quelli  di cui si conosce la paternità e quelli di
                                cui non la si conosce.
                                La commedia di Eduardo porta al  pubblico il problema dei diritti dei figli
                                illegittimi mentre nello stesso tempo  l’Assemblea Costituente svolgeva un
                                dibattito sulla famiglia e sui figli  nati fuori dal matrimonio. La tematica
                                affrontata da Eduardo trova riscontro  nell’impegno dell’Assemblea Costituente e
                                offre materia di riflessione per  affrontare il drammatico problema. Il 23
                                aprile 1947 l’Assemblea Costituente  approva l’articolo che stabilisce il
                                diritto-dovere dei genitori di  mantenere, istruire e educare anche i figli nati
                                fuori dal matrimonio. Nel febbraio del  1955 verrà approvata la legge che
                                abolirà l’uso dell’espressione “figlio  di N.N. ”
  “ Dimmelo chi è mio figlio, la carne  mia, il sangue mio. Me lo devi dire, per te
                                stessa, per non dare l’impressione che  fai un ricatto, io ti sposo lo stesso,
                                te lo giuro ” Domenico Soriano non  rinuncia a conoscere di chi è il padre.
                                Filumena ha vinto la battaglia, ma non  cede: “Ti ho voluto bene con tutta la
                                forza della vita mia e come hai voluto  tu. Agli occhi miei tu eri un Dio. E
                                ancora ti voglio bene, forse meglio di  prima: non me lo chiedere più. Tu devi
                                essere forte. Perché per il bene che  ti voglio, perciò ti ho detto non
                                piangere, perché in un momento di  debolezza… E sarebbe la nostra rovina,
                                specialmente la tua, soprattutto per  te io non te lo dico. Cominceresti a
                                pensare: e perché non glielo posso dire  che sono il padre? E gli altri due che
                                sono, che diritto hanno?.... L’inferno.  E noi ci dobbiamo solamente voler bene…
                                Abbiamo tanto bisogno di volerci bene,  tutti quanti. ”
                                Domenico Soriano sposa Filumena  Marturano, i tre figli si chiameranno Soriano,
                                avranno gli stessi diritti tutti e  tre, e lo stesso amore.
  abbonamento intera  stagione da giovedì 5 a domenica 8 febbraio
  abbonamento a 5  spettacoli martedì 3 e mercoledì 4 febbraio
                               
                              KHORA TEATRO
                                presenta
  ALESSANDRO PREZIOSI
                                in
  AMLETO
                                di William Shakespeare
                                regia ARMANDO PUGLIESE
                                Amleto è un giovane che lotta, con  armi impari e proprio con le armi del teatro
                                contro il potere; un potere che  nasconde dietro cerimoniali impeccabili, dietro
                                un’apparenza accattivante, tutta la  sua brutalità e le sue raffinate forme di
                                controllo, da un’educazione repressiva  a un sistema di sorveglianza senza
                                smagliature.
                                Siamo quindi interessati alla  dimensione “politica ” e metaforica del testo e
                                dal tentativo di recuperarla in tutta  la sua attualità, senza facili
                                attualizzazioni.
                                Ben consapevoli che la natura del  teatro è comunque poco rassicurante e
                                nasconde trappole.
                                Lo sapeva bene proprio Amleto, che  sceglie il teatro per “ prendere in trappola
                                la coscienza del re” .
                                L’occasione per la messa in scena dell’Amleto  è il 60° anniversario del
                                festival teatrale shakespeariano al  Teatro romano di Verona ( 1 luglio 2008).
  Amleto, oggi
  “ Ho udito che delle  persone colpevoli, assistendo ad una rappresentazione, a
  causa dello stesso  artificio messo in scena, furono così turbate fin dal
  profondo dell’anima  da confessare pubblicamente e senza indugio i loro crimini.
  La rappresentazione  del dramma sarà la cosa con cui coglierò in trappola la
  coscienza del re ”  (W. Shakespeare, Amleto, II,2)
                                Mettere in scena Amleto è un tentativo  di raccontare con parole potenti come
                                sono quelle di Shakespeare qualcosa  che ci riguarda e che riguarda il tempo che
                                stiamo vivendo, il nostro tempo.  Attraverso Amleto vogliamo parlare di noi e di
                                oggi con la pretesa di tornare al  compito fondamentale del teatro classico e
                                dell’arte essere specchio del mondo in cui vive e interrogarlo sulle sue
                                questioni essenziali, prendere una  distanza proprio per riflettere.
                                Una interrogazione a distanza che  nessuno di noi nella quotidianità travolta
                                dal vortice delle cose può avere o  avere il tempo di avere.
                                Spesso ci capita di trovarci di  fronte, mediaticamente, ad una realtà che ci
                                lascia frustrati come incapaci di “alterare  ” l’ordine immorale del succedersi
                                delle cose e tanto è lo sconforto, l’impotenza,  che ci rende sordi e ciechi
                                verso un Male che abbiamo già  riconosciuto, come crepa verticale e profonda
                                della nostra società.
                                Contro il malcostume del nostro tempo  il Principe di Danimanrca ci mostra il
                                suo lato più debole, aggirare la  realtà, rifugiarsi nella sua fragilità, ma
                                consegna allo spettatore una chiave  che deve aprire porte rispetto alle quali
                                lo stesso Amleto rimane nascosto.
                                Forza e debolezza, impulsività e  calcolo, sensibilità e riflessione: tutto è
                                estremo in lui, che con il suo  idealismo si pone sulla scena a testimoniare,
                                assieme a un dramma personale, i  conflitti e le aspirazioni di ogni giovane
                                contemporaneo che abbia una concezione  dell’esistenza e intanto debba
                                sperimentarne la corruttibilità.
                                La tragedia classica riscopre la sua  forza e la sua attualità, nella non banale
                                coincidenza con la ricorrenza del  quarantennale del ’68, sottolineando il tema
  dell’atavico  conflitto tra “padri ” usurpatori e figli: i primi che non
                                accettano il cambiamento e impongono  ai giovani una società ormai superata, e
                                le nuove generazioni, che tentano di  non farsi sopraffare da aspettative
                                esagerate e ambizioni irraggiungibili.
  abbonamento intera  stagione da giovedì 19 a domenica 22 febbraio
                               
                              NUOVO TEATRO diretta  da Marco Balsamo
                                in cooproduzione con GLI IPOCRITI
                                in collaborazione con TEATRO ELISEO
                                presenta
  IL DIO DELLA  CARNEFICINA
                                di Yasmina Reza
                                con in o.a.
  ANNA BONAIUTO
  ALESSIO BONI
  MICHELA CESCON
  SILVIO ORLANDO
                                scene e costumi GIANNI CARLUCCIO
                                regia ROBERTO ANDO’
                                La scrittrice francese Yasmina Reza  (1959), comincia come attrice lavorando in
                                varie spettacoli moderni ma anche in  classici come Molière e Marivaux. Nel 1987
                                scrive la sua prima pièce:  Conversations après un enterrement (Conversazioni
                                dopo una sepoltura) con cui vince il  Molière Award come migliore autore.
                                Traduce La Metamorfosi di Kafka per  Roman Polanski per cui viene nominata per
                                il Molière Award come migliore  traduttrice. La sua seconda pièce La traversée
                                de l’hiver (La traversata dell’inverno)  nel 1990 vince un altro Molière award e
                                il successivo L’homme du Hasard (L’uomo  del caso) riscuote grande successo in
                                tutta europa e anche in America. Nel  1994 scrive Art (Arte) il capolavoro con
                                cui vince l’anno successivo un altro  Molière Award come migliore autore, il
                                testo viene riprodotto in tutto il  mondo e tradotto in più di 30 lingue. Tra i
                                lavori più importanti troviamo: Una  desolazione, L’alba la sera o la notte,
                                Uomini incapaci di farsi amare. Nel 2006  arriva Dieu du carnage (Dio della
                                carneficina) messo in scena l’anno  successivo con la regia di Jurge Gosch vince
                                il Viennese Nestroy-Theatreprize come  miglior performance in lingua tedesca
                                dell’anno. Debutta l’anno successivo a  Londra con la regia di Matthew Warchus,
                                la traduzione di Christopher Hampton,  protagonista Ralph Finnes.
                                Il Dio della carneficina racconta la  storia di due coppie di genitori che si
                                confrontano sulla questione di come  raddrizzare il comportamento ribelle dei
                                propri figli. Ma come andrà a finire?  Sarà possibile una discussione calma e
                                civile tra persone adulte? O diventerà  una notte di isteria tra insulti,
                                capricci e lacrime? I ragazzi sono  ragazzi si sa, ma gli adulti finiscono per
                                comportarsi anche peggio!
  «In tutto quello che ho scritto, credo  che il tempo sia l'unico soggetto. Gli
                                uomini, in particolare gli uomini di  azione , cercano in tutti i modi di
                                distrarsi dalla morte. Intraprendono  con essa una corsa perduta e vana ma che
                                può dare l'illusione di vivere. ”
  Yasmina Reza
  abbonamento intera  stagione da giovedì 5 a domenica 8 marzo
  abbonamento a 5  spettacoli martedì 3 e mercoledì 4 marzo
                               
                              PRODUZIONE ZOCOTOCO  SRL
                                presenta
  LA SIRENA
                                legge
  LUCA ZINGARETTI
                                reading dal racconto Lighea di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
                                musiche di GERMANO MAZZOCCHETTI
                                drammaturgia e regia di LUCA  ZINGARETTI
                                Nel tardo autunno del 1938 due uomini  si incontrano in una Torino a entrambi
                                estranea. Paolo Corbèra è nato a  Palermo, giovane laureato in Giurisprudenza,
                                lavora come redattore de "La  Stampa". Rosario La Ciura è nato ad Aci Castello,
                                ha settantacinque anni, ed oltre ad  essere senatore, è il più illustre
                                ellenista del tempo, autore di una  stimata opera di alta erudizione e di viva
                                poesia. Il primo risiede in un modesto  alloggio di via Peyron e, deluso da
                                avventure amorose di poco valore, si  trova "in piena crisi di misantropia". Il
                                secondo vive in "un vecchio  palazzo malandato" di via Bertola ed è "infagottato
                                in un cappotto vecchio con colletto di  un astrakan spelacchiato", legge senza
                                tregua riviste straniere, fuma sigari  toscani e sputa spesso.
                                I due sconosciuti si incontrano in un  caffé di via Po ("una specie di Ade" o
  "un adattissimo Limbo") e, a  poco a poco, entrano in una garbata e cordiale
                                confidenza. Tra riflessioni erudite,  dialoghi sagaci, battute cinicamente
                                ironiche, i due trascorrono il tempo  conversando di letteratura, di antichità,
                                di vecchie e nuove abitudini di vita. In  un immaginario viaggio, geografico e
                                temporale tra il Nord e il Sud, emerge  un mondo costruito sulla passione e
                                l’estasi. Alle iniziali avventure del  giovane con "sgualdrinelle ammalate e
                                squallide (...), di un’eleganza fatta  di cianfrusaglie e di moinette apprese al
                                cinema, a pesca di bigliettucci di  banca untuosi nelle tasche dell’amante" si
                                sostituisce, in modo tanto sinuoso  quanto dirompente, l’amore del vecchio per
                                una creatura dal sorriso che esprime  "bestiale gioia di esistere, una quasi
                                divina letizia", dal  "profumo mai sentito, un odore magico di mare", dalla voce
                                che pare un canto.
                                Nonostante Giuseppe Tomasi di  Lampedusa sia noto soprattutto per Il Gattopardo,
                                se si osserva la pur modesta opera  letteraria dell’autore, non si può far a
                                meno di annoverare tra i suoi  capolavori anche quel piccolo gioiello che è
                                Lighea.
                                Pubblicato postumo nel 1961 per i tipi  di Feltrinelli, questo racconto
                                affascina sotto innumerevoli aspetti.  Colpiscono le raffinate scelte semantiche
                                che spaziano dall’italiano forbito al  dialetto popolano, la precisa e attenta
                                costruzione della sintassi, le  scrupolose descrizioni di luoghi, personaggi,
                                eventi, ma soprattutto sensazioni.  Dalle pagine del racconto ambientato nella
                                fredda Torino emerge con vigore la  calda Sicilia: l’odore della salsedine, il
                                sapore dei ricci di mare, il profumo  di rosmarino sui Nèbrodi, il gusto del
                                miele di Melilli, le raffiche di  profumo degli agrumeti, "l’incanto di
                                Castellammare, quando le stelle si  specchiano nel mare che dorme e lo spirito
                                di chi è coricato riverso fra i  lentischi si perde nel vortice del cielo mentre
                                il corpo, teso e all’erta,teme l’avvicinarsi  dei demoni".
                                Di tutte queste sensazioni si  arricchisce lo spettacolo La Sirena, accompagnato
                                dalle musiche del Maestro Germano Mazzocchetti,  di cui Luca Zingaretti non è
                                solo interprete ma anche curatore  della regia e dell’adattamento drammaturgico,
                                trova spazio, in un percorso tra la  carnalità del Presente e la spiritualità
                                dell’Antichità, la ricchezza della  poesia della terra siciliana su cui sembra
                                palpitare quella melensa e liquorosa  stasi del vivere che connota gran parte
                                dei paesaggi e degli uomini.
  abbonamento intera  stagione da giovedì 12 a domenica 15 marzo
                               
                              ALTERA ACTIONE
                                presenta
  RISVEGLIO DI  PRIMAVERA (1891)
                                di Frank Wedekind
                                Traduzione e adattamento di Lorenzo  Amato
                                regia LORENZO AMATO
                                La solitudine degli adolescenti, il  dramma della crescita nell’assenza di
                                interlocutori adeguati. Genitori all’epoca  repressivi, oggi distrattamente
                                superficiali, istituzione scolastica  che non dava e continua a non dare
                                risposte sufficienti e le inevitabili  tragiche conseguenze (suicidi gratuiti,
                                esperienze sessuali malate) sono le  principali tematiche di Risveglio di
                                Primavera.
                                F.Wedekind, a soli 27 anni, denunciava  lo smarrimento adolescenziale di fronte
                                alle prime pulsioni sessuali, alle  prorompenti energie vitali che, ignorate o
                                mal tollerate dagli adulti, possono  esplodere in direzioni drammatiche.
                                La mia traduzione-adattamento ha avuto  come scopo primario la portabilità in
                                scena di un testo altrimenti  oggigiorno non rappresentabile (37 personaggi, 19
                                ambienti diversi). Inoltre, si è  prefisso di alleggerire il dramma originale
                                soprattutto dalle sue abbondanti note  grottesche spesso forzate, artificiose e
                                bozzettistiche, per concentrare invece  l’attenzione sulle vicende dei giovani
                                protagonisti.
                                Questa operazione sul testo, ha  costituito un punto di partenza sul quale sono
                                intervenuto insieme agli attori per  assicurare la massima efficacia e resa sul
                                pubblico che per me resta il fine di  qualunque messa in scena.
                                Il linguaggio utilizzato è “alto ”,  spesso poetico, carico di sospensioni ed
                                accenti enfatici che, se da una parte  rendono bene il disorientamento dei
                                giovani protagonisti, dall’altra  sembrano voler nascondere od abbellire istinti
                                e pulsioni di cui si ha paura.
                                E’ stato per me importante cercare di  aiutare il più possibile i giovani
                                protagonisti a penetrare questo  linguaggio, da loro percepito come vicino, per
                                le tematiche ancora così tragicamente  attuali, ma, allo stesso tempo,
                                tremendamente distante per costruzione  sintattica e scelta di vocaboli, e a
                                farlo vivere con tutta la forza che  possiede.
                                Per quanto riguarda la messa in scena,  la mia prima preoccupazione è stata
                                quella di cercare di rendere fluido e  continuo il susseguirsi delle brevi e
                                numerose scene che compongono quest’opera,  eliminando la divisione originaria
                                in tre atti, ed evitando il più  possibile di inserire il “ buio ” tra una scena
                                e l’altra.
                                Ho cercato insomma di creare una sorta  di lungo piano sequenza, dove l’azione
                                si svolgesse senza interruzioni, e gli  eventi precipitassero inesorabilmente
                                verso il tragico finale.
                                Per fare questo, già molto tempo prima  di cominciare le prove, avevo disegnato
                                un vero e proprio story board di tipo  cinematografico dell’intera messa in
                                scena, che ha costituito la base di  quella che, grazie alla creatività di
                                Cristina Gaetano, è diventata la  scenografia vera e propria dello spettacolo.
                                Insieme, siamo gradualmente arrivati  alla definizione di uno spazio scenico
                                allo stesso tempo realistico (costumi,  elementi d’arredo e decorativi d’epoca)
                                e fantastico: lo spettatore è come se  vedesse attraverso una lente
                                d’ingrandimento la stanza di un  bambino lasciato crescere in solitudine e poi
                                abbandonato.
                                La natura, fuori controllo, proprio  come gli impulsi dei giovani protagonisti,
                                si è impadronita di questa stanza,  penetrandone il pavimento, sfondando
                                soffitti e pareti.
                                All’interno di questo ambiente  fantastico, i personaggi degli adulti hanno
                                occupato quella che doveva essere una  casetta giocattolo del bambino, uno
                                spazio angusto, una gabbia senza vie d’uscita,  dove crescono ed educano i loro
                                figli come uccellini in una voliera.
                                Solo ai giovani è consentito agire  negli altri spazi, ma la loro libertà di
                                movimento è solo apparente ed è  comunque segnata da un destino tragico: il
                                precipizio inevitabile per chi, pur  avendo le ali, non hai mai avuto nessuno
                                che gli insegnasse a volare.
                                Lorenzo Amato
  abbonamento intera  stagione da giovedì 26 a domenica 29 marzo